Come il cervello ricorda, fondendo realtà e fantasia
Se davvero qualcuno dei ricordi fissati indelebilmente nelle nostre menti fosse frutto di fantasia, il prodotto di una manipolazione della realtà, sarebbe impossibile stabilirlo se non ricorrendo a prove e testimonianze relative a quel frammento di vita di cui ci sfuggono i dettagli e che è stato rielaborato in maniera personale. Eppure, l'ipotesi che questo accada, molto spesso nel tentativo di allontanare da sé in qualche maniera la memoria di esperienze fonte di dolore o di fastidio, non è così remota: gli strumenti di difesa messi in campo dal cervello nel tentativo di limitare i danni arrecati da situazioni spiacevoli, sono molteplici e seguono le vie più diverse.
Ricordare e immaginare – La totale rimozione di un evento dalle stanze della propria mente o, piuttosto, la deformazione di un piccolo pezzo di esistenza, la sua modifica o, addirittura, la sostituzione con episodi non verificatisi nei fatti, ma utili a svolgere un'azione di tamponamento nei confronti di quanto vuole essere tenuto il più possibile lontano dal pensiero: fenomeni che accadono nell'individuo, naturalmente, senza che questi ne sia cosciente, creando così, talvolta, lacune incolmabili. Del resto, finché non si scoprirà quale tasto bisogna schiacciare affinché il dolore venga lavato via per sempre, o piuttosto finché non si avrà a disposizione un «farmaco dell'oblio», la mente continuerà autonomamente a compiere il proprio lavoro per deformare quello che non è in grado di sopportare. Del resto, è noto che, in generale, selezionare una parte dei ricordi aiuta anche a tenere il cervello più in forma e nel lungo periodo, ragione per cui molti studi neurologici hanno individuato nel sonno ristoratore il miglior mezzo per riuscire a rielaborare, valutare e fissare i ricordi liberandoli, in parte, dalla loro componente emotiva più forte e in grado di nuocere profondamente. False reminiscenze possono essere, d'altronde, generate anche da influenze esterne o condizionate da quelli che sono o sono stati i desideri e le credenze del singolo. Quello con cui, però, si sono confrontati recentemente alcuni ricercatori è la creazione di una «memoria sintetica», ipotesi che non può non far tornare alla mente suggestioni fantascientifiche cinematografiche.
L'esperimento – Eventi reali ed immaginari mescolati in maniera inscindibile a formare un unicum in cui sogno e realtà potrebbero essere coincidenti: un esperimento che rievoca scenari futuristici in cui ogni mente potrebbe essere plasmata a piacimento al fine di creare ricordi alterati con gli scopi più vari. Nella fattispecie si tratta dell'osservazione effettuata su alcuni topolini di laboratorio del meccanismo che porta a modellare la memoria con il contributo dell'immaginazione. Inizialmente i topi sono stati ingegnerizzati geneticamente in modo da diventare capaci di rivivere un ricordo quando assumevano quantità di clozapina, sostanza normalmente utilizzata nel trattamento terapeutico della schizofrenia: alcune attività, come l'esplorazione di un nuovo ambiente, causavano la produzione nei ratti di un recettore per la droga e, così, somministrando successivamente la sostanza, si attivavano i medesimi neuroni. In un primo momento sono stati indotti ad entrare in una gabbia qualsiasi dalle pareti opache, mentre il giorno successivo gli scienziati hanno somministrato ai roditori una dose di clozapina, prima di introdurli in una seconda gabbia: una debole scossa elettrica al piede, ogni volta che varcavano l'ingresso di quell'area ben delimitata, serviva a suggerire ai topolini l'idea che quello fosse un luogo di cui bisognava aver paura.
Distinguere i ricordi – L'ipotesi degli studiosi, guidati da Mark Mayford dello Scripps Research Institute, era che attivando in essi la memoria dell'esperienza meno sgradevole, attraverso il farmaco, questa potesse interferire con la possibilità di fissare nella mente il ricordo della gabbia in cui essi hanno provato uno shock; e, in effetti, contrariamente a quelli che sono normalmente i comportamenti dei ratti, quando in seguito i topi sono stati rimessi nella gabbia dello shock, non hanno dato segnale di provare paura, dimostrando come avessero rivissuto il ricordo più piacevole, confondendolo con quello negativo. Soltanto una seconda iniezione ha consentito alle cavie di separare la brutta esperienza dal ricordo positivo, chiarendo definitivamente le differenze tra i due tipi di ricordi. «Quando si impara qualcosa di nuovo solitamente la si integra con una vecchia informazione che presenta alcuni aspetti simili e, alle volte, diventa difficoltoso fare una distinzione», ha chiarito Mayford nel commentare lo studio che ha portato alla creazione dei falsi ricordi artificiali. «Comprendere i meccanismi di base del modello animale potrebbe rivelarsi utile per comprendere cosa non funziona perfettamente in quelle situazioni in cui si hanno delle percezioni inappropriate oppure il modo in cui il cervello cambia con l'apprendimento».