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Come il cambiamento climatico sterminò i mammiferi dell’Antico Egitto

Delle 37 specie presenti e documentate attraverso manufatti risalenti fino a 6.000 anni fa, soltanto 8 sono sopravvissute ai mutamenti del clima. E la “colpa” di ciò, in parte, fu anche dell’uomo.
A cura di Nadia Vitali
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Antiche pitture rupestri ritraenti giraffe, struzzi e mucche dalle lunghe corna guidati da una persona, impresse su una grotta in quello che oggi è l'altopiano di Gilf Kebir, nel deserto al confine tra Sudan, Libia ed Egitto (immagine via Wikipedia)
Antiche pitture rupestri ritraenti giraffe, struzzi e mucche dalle lunghe corna guidati da una persona, impresse su una grotta in quello che oggi è l'altopiano di Gilf Kebir, nel deserto al confine tra Sudan, Libia ed Egitto (immagine via Wikipedia)

L’estinzione delle specie esistenti in natura è una triste storia che non riguarda soltanto i tempi nostri: già in passato, in diverse occasioni, stravolgimenti climatici, eventi catastrofici, impatti devastanti con la specie umana sono stati in grado di danneggiare irreversibilmente l’equilibrio di alcuni territori, portando alla definitiva scomparsa di piante ed animali, talvolta dall'intera superficie del globo, talaltra limitatamente ad un certo areale. Qualcosa del genere deve essere accaduto anche in Egitto, più precisamente nel corso di quell'epoca pre-dinastica durante la quale, secondo un recente studio, gli antichi egizi misero a punto e consolidarono la pratica di imbalsamare i corpi dei propri cari defunti.

Elefanti, giraffe e gazzelle: i grandi mammiferi dell'Antico Egitto

Ad entrare nei dettagli di quella che fu una vera e propria estinzione di massa, articolatasi nel giro di diversi millenni, è una ricerca condotta da un gruppo internazionale di studiosi, autori di un articolo pubblicato da PNAS. Il lavoro prende spunto da un libro edito nel 1998, The Mammals of Ancient Egypt, opera dello zoologo Dale Osborne: una ricchissima collezione di dati ed informazioni in grado di dipingere un dettagliato quadro storico delle comunità animali delle regioni nilotiche, basandosi su testimonianze paleontologiche ed archeologiche. Reperti che raccontano di un territorio nel quale, all'incirca sei millenni addietro, vivevano almeno 37 specie di mammiferi di grossa taglia (per quel che ci è dato conoscere), la cui esistenza è provata anche attraverso manufatti risalenti alle epoche remote che precedettero la fase di formazione dello stato unitario d’Egitto. Questi animali, per la gran parte, oggi non sono più presenti in quelle regioni: ma andavano già scomparendo all'epoca dei faraoni! Tra essi si potevano annoverare leoni, giraffe, cani selvatici, orici o alcelafi. Soltanto otto tra quelle specie sono sopravvissute al tempo e vivono ancora nei luoghi dei loro progenitori: ma cosa ha portato alla scomparsa di tutte le altre?

Cambiamenti climatici e pressione antropica

I ricercatori avrebbero identificato cinque episodi, verificatisi a partire da circa 6.000 anni fa, durante i quali drammatici mutamenti intervenuti nell'ambiente influirono in maniera drastica sulle condizioni di vita delle colonie di mammiferi. Tre di questi “momenti di passaggio” coincisero con cambiamenti estremi nelle condizioni climatiche, causando l'inaridimento generale. Periodi di siccità a cui fecero eco sconvolgimenti nelle stesse società umane, portando al collasso dell’Antico Regno (avvenuto circa 4.000 anni fa) o alla caduta del Nuovo Regno (circa 3.000 anni fa). «Quella che un tempo fu una florida comunità di mammiferi oggi si presenta in maniera del tutto diversa» ha spiegato uno degli autori dello studio Justin Yeakel, del Santa Fe Institute, California.

Mentre il numero di specie declinava, infatti, uno dei primi problemi a cui andava incontro l'ambiente era la perdita di varietà all'interno degli ecosistemi: c'erano, ad esempio, diverse specie di gazzelle o di piccoli erbivori le quali erano una garanzia di cibo per i molti predatori che facevano affidamento su di esse. Lo squilibrio causato dalla sparizione di ciascun piccolo erbivoro innescava reazioni in grado di causare l'estinzione di ulteriori animali: esattamente come accade anche oggi, in altri ecosistemi. E così scomparvero gradualmente quei magnifici animali che erano stati protagonisti di opere d'arte tra le più antiche della storia dell'umanità, raffigurati perché dominatori del territorio, spesso fianco a fianco con l'uomo. La crescente desertificazione dell'Egitto fu la conseguenza di un clima asciutto, seguito alla fine di un periodo molto umido per l'Africa finito all'incirca 5.500 anni fa: in quel tempo i monsoni spostarono la propria rotta verso sud. All'epoca la densità di popolazione viveva una fase di forte incremento, ma gli spazi iniziarono a restringersi a causa delle siccità e, così, la competizione per le zone più umide della valle del Nilo ebbe un ulteriore impatto sugli animali: il risultato fu devastante e compromise la sopravvivenza di molti di essi.

Un modello per comprendere l'estinzione?

Un altro grande cambiamento nelle comunità di mammiferi, ben più recente, avrebbe avuto luogo circa 100 anni fa. L'analisi del rapporto preda-predatore ha mostrato agli studiosi come l'estinzione di alcune specie negli ultimi 150 anni avrebbe portato ad un impatto sproporzionatamente più ampio sulla stabilità dell'ecosistema: ciò è accaduto perché, nel frattempo, tale ecosistema si era già notevolmente impoverito. Tali conclusioni, secondo Yeakel, potrebbero avere anche importanti implicazioni per la comprensione dei moderni meccanismi di estinzione delle specie animali e vegetali. «Questo potrebbe essere soltanto un esempio di un modello ben più ampio» ha spiegato «Noi vediamo tantissimi ecosistemi, oggi, nei quali un cambiamento in una sola specie produce un enorme mutamento nella funzionalità dell'intero sistema: ma questo potrebbe essere un fenomeno moderno. Normalmente non tendiamo a pensare a come quel sistema doveva presentarsi 10.000 anni fa, quando c'era una più grande varietà nelle comunità animali». Insomma, ad un ambiente più fragile corrisponde, necessariamente, una più scarsa capacità di mantenere l'equilibrio, con eventi sempre più piccoli in grado di minarne la stabilità: potrà questo processo essere, in qualche modo, arrestato?

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