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Come funzionano i vaccini contro il cancro

Oltre a prevenire le malattie infettive, alcuni vaccini sono in grado di prevenire l’infezione contro quei virus (papilloma e epatite B) che possono causare l’insorgenza di certi tipi di tumore. Altri vaccini anticancro possono invece stimolare il sistema immunitario a riconoscere le cellule cancerose e a distruggerle.
A cura di Valeria Aiello
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I vaccini rappresentano la misura di medicina preventiva più efficace e sicura contro le malattie infettive. Fin dalla loro introduzione, alcuni hanno permesso di sconfiggere malattie terribili, come il vaiolo e il tetano neonatale, e altri hanno reso rare molte infezioni, come la difterite e la polio. Non tutti però sanno che oltre ai vaccini “classici” che inducono una risposta immunitaria attiva contro determinati tipi di infezione, alcuni vaccini prevengono da certi tipi di cancro, agendo contro quei virus – come il papilloma umano (HPV) e dell’epatite B – che possono causare l’insorgenza di certi tipi di tumore.

Altri vaccini anticancro, invece, sono dei veri e propri strumenti di cura e non di prevenzione, dunque delle terapie in grado di stimolare il sistema immunitario a riconoscere le cellule tumorali e distruggerle. Un esempio è quello del vaccino contro il tumore della prostata (sipuleucel-Y), approvato nel 2010 dalla Food and Drug Administration (FDA). Molti altri sieri attualmente in fase di sviluppo sono in grado di trattare varie forme di cancro, tra cui melanoma, carcinoma polmonare non a piccole cellule, tumore gastrointestinale, cancro al seno, carcinoma ovarico e tumore del pancreas. Ma come funzionano questi vaccini? E in cosa sono uguali o diversi da quelli che prevengono le malattie infettive?

Come detto, con il termine vaccino anticancro, ci si riferisce principalmente a vaccini terapeutici, in quanto queste formulazioni sono a tutti gli effetti delle terapie e sono dunque indirizzate ai pazienti che hanno già un tumore allo scopo di curare la malattia, e non di prevenirla. Similmente ai vaccini contro le malattie infettive, questi sieri stimolano il sistema immunitario a riconoscere e eliminare qualcosa che è dannoso per l’organismo. Tuttavia, nel caso dei tumori, le cellule mutate adottano alcuni stratagemmi per evitare di essere attaccate, in modo da non essere riconosciute come una minaccia per l’organismo e continuare a proliferare in maniera incontrollata.

Il riconoscimento del “pericolo” da parte del sistema immunitario dipende da alcune molecole, chiamate antigeni, che funzionano come bandierine sulla superficie delle cellule: se appartengono all’organismo, il sistema immunitario evita di attaccarle. Se invece sono estranee, i sistemi di difesa eliminano la minaccia. Le cellule tumorali possiedono però antigeni “particolari”,  in grado di sfruttare questi sistemi a proprio vantaggi, e che spesso sono diversi da un paziente all’altro.  Ed è qui che entrano in campo i vaccini anticancro, che facilitano il riconoscimento degli antigeni delle cellule  tumorali così da attivare una risposta immunitaria in grado di ucciderle o indurle al suicidio (apoptosi).  In pratica, le istruzioni contenute nel vaccino, preparano il sistema immunitario a individuare le mutazioni presenti nelle cellule tumorali e ad attaccare solo quelle.

Vista però la grande variabilità individuale, lo sviluppo di questi sieri si è dimostrato più complesso del previsto. “Anche se due persone sono colpite dalla stessa neoplasia, non è detto che le caratteristiche molecolari dei tumori dei due pazienti siano identiche – precisa l’Associazione italiana per la ricerca sul cancro – . Un esempio è dato dal vaccino per il tumore alla prostata, che deve essere prodotto per ciascun paziente”.

Per creare quindi un vaccino anticancro, bisogna conoscere quali sono gli antigeni da colpire, che non sono uguali in tutti i tumori dello stesso tipo. Spesso di tratta quindi di approcci personalizzati, che possono essere estremamente costosi (il trattamento contro il cancro alla prostata costa oltre 100mila dollari). “La vaccinazione può essere fatta iniettando gli antigeni o prelevando i globuli bianchi del paziente e mettendoli in contatto con l’antigene in laboratorio prima che questi siano reintrodotti nel paziente stesso – indica l’AIRC – .  Risultati incoraggianti sono stati raggiunti contro il tumore al seno, dove il bersaglio scelto per il vaccino scelto è l’antigene HER2, una proteina espressa dal 25% dei carcinomi mammari, la cui presenza sulle cellule tumorali costituisce un segno di malattia aggressiva”.

In Italia, capofila nella sperimentazione della vaccinazione anticancro è l’Istituto Nazionale dei Tumori “Pascale” di Napoli, che nell’ambito del trial clinico “Hepavac-101” sta testando un vaccino contro il tumore del fegato costituito da 16 antigeni selezionati da centinaia di malati. “Se i risultati saranno positivi – conclude l’AIRC – la sperimentazione verrà portata alle fase più avanzata tra quelle necessarie per introdurre un nuovo trattamento in clinica”.

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