Come funziona la terza dose di Pfizer contro la variante Delta e perché sarà diversa dalle prime due
Le persone che hanno completato il ciclo vaccinale anti Covid potrebbero aver bisogno di un’ulteriore dose di richiamo. I dati del mondo reale rilasciati dal Ministero della Salute di Israele, dove la variante Delta è diventata quella dominante, indicano che l’efficacia del vaccino nel prevenire l’infezione e la malattia sintomatica diminuisce dopo sei mesi, sebbene la protezione dalla forme gravi rimanga elevata. La somministrazione di una terza dose dovrebbe aumentare la risposta anticorpale, come indicato dai dati iniziali dello studio clinico condotto da Pfizer e BionTech che, oltre al siero Comirnaty (BNT162b2) già approvato, per cui nelle prossime settimane verrà richiesta l’autorizzazione per la terza dose, prevedono di avviare la sperimentazione di una formulazione aggiornata per la variante Delta.
La terza dose anti-Delta di Pfizer
“Riteniamo che una terza dose di BNT162b2 abbia il potenziale per preservare i più alti livelli di efficacia protettiva contro tutte le varianti attualmente note, inclusa la Delta – spiegano le due società in una nota – . Restiamo comunque vigili e stiamo sviluppando una versione aggiornata del vaccino che mira all’intera proteina Spike della variante Delta. Il primo lotto dell’mRNA per la sperimentazione è già stato prodotto”.
I test, nell’ambito di un nuovo studio clinico, partiranno ad agosto. “Crediamo che una terza dose possa essere necessaria entro 6-12 mesi dalla vaccinazione completa – aggiungono le due case farmaceutiche – . Anche se la protezione contro la malattia grave è rimasta elevata per tutti i 6 mesi, prevediamo un calo dell’efficacia contro la malattia sintomatica nel tempo e la continua comparsa di varianti”.
Come la terza dose del vaccino già approvato, la somministrazione della nuova formulazione anti-Delta dovrebbe rafforzare la protezione, aumentando il livello di anticorpi che, diversamente da quelli indotti dal primo siero, saranno specifici per il ceppo mutato. Un potenziamento reso possibile dalla grande versatilità della tecnologia dell’RNA messaggero (mRNA) che ha permesso di adattare il codice genetico basato sul ceppo originario del virus a quello dell’ex variante indiana.
Sulla stessa strada anche Moderna, che ha sviluppato una formulazione chiamata mRNA-1273.351 sulla base della variante Beta (ex variante sudafricana) e testata sia singolarmente sia come mix con il vaccino già approvato. La sperimentazione attualmente in corso ha finora dimostrato che il richiamo con una terza dose aumenta in modo significativo il livello di anticorpi contro le varianti di preoccupazione e potrebbe risultare vantaggiosa a circa 6-8 mesi dal primo ciclo vaccinale.