Come difendersi dalle bufale: dieci regole di sopravvivenza
Non importa se quel che hanno condiviso nei social non si basa su alcuna prova reale, loro sono avanti, vedono quel che i più non riescono a vedere: sono i complottisti. Nella maggior parte dei casi basta una minima verifica per smontarne le tesi, eppure è spesso difficile riuscire ad avere una discussione serena, anche perché si citano sovente argomenti che toccano le persone nei sentimenti e nelle paure più recondite. Ecco le dieci cose che sarebbe bene conoscere prima di avventurarsi nella giungla dei forum, siti e pagine che divulgano bufale in Rete.
1. La Scienza funziona, anche senza il tuo aiuto
Fare terra bruciata spesso è molto più producente, si rischia infatti di apparire noi stessi dei dogmatici. Sono i sostenitori delle tesi di complotto a dover dimostrare quanto affermano. Riuscire a convincerli non è un problema di importanza planetaria, quanto un interessante terreno di studio per sociologi, psicologi e semiologi, recentemente sempre più affascinati da queste nicchie anti-scientifiche, anche per studiare metodi più efficaci di divulgazione scientifica. Sul canale YouTube di Lexia (rivista italiana di semiotica) trovate un ciclo di conferenze molto illuminante da questo punto di vista.
2. L’opinionismo non è scienza
Se proprio non si può evitare un dibattito l’improvvisazione invece è inammissibile. Se non si è preparati riguardo all’argomento, anche se si è certi che le tesi esposte vanno contro l’intera comunità scientifica, meglio lasciare il testimone a chi è più informato di noi, magari qualcuno che scrive in un sito o in un forum di debunking. Ci serva da esempio l'incredibile ascesa di David Icke, il quale a distanza di quindici anni torna a farsi intervistare in Gran Bretagna da Terry Wogan. Nonostante continui a sostenere l'esistenza dei rettiliani, il presentatore non ride più del bizzarro guru complottista, il quale si prende gioco di lui, forte di una maggiore esperienza nei dibattiti, non certo del valore delle argomentazioni. Wogan sottovalutò il suo ospite – forse sovrastimando anche lo spirito critico del pubblico – presentandosi impreparato e incapace di controbattere in maniera efficace.
3. La regressione infinita è male
Superati i primi due scogli ora vi trovate in un thread a discutere con una persona convinta dell’esistenza di un complotto, ordito da non si capisce bene chi. Presto vi accorgerete che per ogni argomento presentato come prova, da voi puntualmente verificato essere un mero indizio stucchevole, il vostro avversario ne avrà sciorinato già numerosi altri (linkare video di YouTube come se non ci fosse un domani – spesso riguardanti ben altro – è una attività tipica del complottista medio) il che oltre a far divagare il ragionamento potrebbe risultare presto frustrante.
Saltare di palo in frasca. E’ quindi fondamentale esigere che si discuta un dato alla volta, senza saltare di palo in frasca. Se una persona è convinta di sostenere una solenne verità le dovrebbe bastare argomentare una prova, quella che ritiene più convincente. Se si sbaglia su quella può sbagliarsi anche sul resto; se non riconosce, di fronte all’evidenza, che quanto sosteneva essere un dato reale si è rivelato essere una bufala, inutile andare avanti saltando ad un’altra presunta prova. “Intanto ti sei accorto che su questo dato ti sbagliavi?”.
4. L’anello mancante
La Scienza non può spiegare tutto, ed è una affermazione che ricorre spesso in questo genere di discussioni, il che è vero. Questo non di meno difficilmente rende una tesi campata in aria reale. Cercare i buchi che ancora la ricerca non è riuscita a colmare non può dimostrarne la fallacia.
Finte lacune. Spesso chi lamenta questi buchi manifesta egli stesso delle lacune, non sapendo che tali mancanze sono state in realtà già colmate o che non ha proprio senso parlarne, come la questione dell’anello mancante nella storia dell’evoluzione.
Predizioni errate. Ciò che rende una teoria valida in realtà è la sua capacità predittiva e la sua apertura alla confutazione, cosa che nelle tesi di complotto non avviene mai: gli esperti citati non potranno che essere corrotti, se l’esperto sei tu allora neghi in quanto non potresti sopportare ammettere la “verità”; nessuna tesi di complotto risulta essere capace di predire eventi futuri, Bush dopo l’11 settembre avrebbe dovuto instaurare un regime autoritario, poco importa se fai notare che oggi alla Casa bianca c’è qualcun altro.
Dove sono le prove? Coscienti di tutto questo esigete sempre che vi si presentino delle prove, i discorsi tipo “non pretendo di avere le prove” valgono solo se si sta facendo opinionismo, e le lacune delle conoscenze universalmente accertate non cancellano la mole di dati positivi a loro sostegno.
5. Argomenti fuori contesto
“Quindi secondo te il presidente Allende non è stato vittima di un complotto ordito anche dagli americani?”. Citiamo un esempio tra tanti (tra l’altro il golpe di Pinochet avvenne un 11 settembre) la fallacia di argomenti di questo tipo sta nel legittimare le proprie tesi usandone altre di contesti diversi, basterebbe ribattere che si tratta di ottimi esempi di tesi dimostrate, anche se a certi governi non piacciono. Questo non autorizza a credere a qualsiasi altra narrazione non altrettanto documentata.
6. Argomenti ad hominem
“Se fossi genitore di un bambino autistico non difenderesti i vaccini”. Questa fallacia logica pretende di legittimare una tesi semplicemente sulla base della situazione esistenziale di chi ci crede, in realtà si tratta del target preferenziale dei divulgatori complottisti, sempre alla ricerca di persone che siano predisposti a credergli, con la forza della pancia e non dei dati. Nel caso specifico – che vale per tutti gli argomenti ad hominem – possiamo far notare due aspetti:
Le emozioni non sono prove. Gran parte dei genitori di bambini autistici non credono affatto che i vaccini abbiano causato la malattia; la loro situazione personale non trasforma una correlazione causale in un rapporto di causa-effetto. In generale vivere una condizione che influisce sul giudizio non è una prova, al massimo si chiama “conflitto di interesse”.
Giudici della realtà. Non essere un bersaglio preferenziale di determinate tesi rende meno esposti alla suggestione permettendoci di avere una mente più aperta. Cosa pensereste di una giuria di bianchi che deve pronunciarsi sulle accuse volte ad un nero, magari in una corte dell’Alabama? Come diceva Kant – ispirato dai nuovi valori dell’Illuminismo – non dobbiamo comportarci come bambini di fronte alla maestra, ma come giudici di fronte all’imputato. La realtà si misura sulla base delle prove concrete, senza discriminare sulla base delle condizioni personali, ma della certezza dei dati.
7. Argomenti ad personam
“Paolo Attivissimo è un noto disinformatore, quindi i suoi lavori non valgono”. Spesso ci troveremo per comodità a dover linkare anche noi video o articoli, a questo punto non è raro che l’autore di tali ricerche venga additato come il diavolo in persona. Tutto questo lascia il tempo che trova: attaccare la persona e non l’argomento è sintomo di un modo distorto di ragionare, farlo notare non guasta.
8. Principio di autorità
Spesso si manifesta in due modi: il sostenitore delle tesi di complotto afferma di avere dei titoli che lo qualificano per parlare; oppure vengono citati le affermazioni di studiosi che avrebbero titoli per sostenere le tesi presentate.
E' vero perché lo dico io. Nel primo caso quando si chiede di dimostrare i titoli salta fuori sovente che sono stati millantati, oppure tutto si riduce al “gioco della palla” (un bimbo tiene la mano dietro la schiena e afferma di avere la palla, ma non te la fa vedere) questo genere di siparietti dovrebbe essere sufficiente a chiudere la conversazione, per manifesta scarsa trasparenza dell’avversario e forti sospetti di millantato credito; più raramente chi parla ha veramente dei titoli, non di meno questo in sé non dimostra niente, dobbiamo chiedere su quali basi vengono fatte le affermazioni: contano le prove non i titoli.
E' vero perché lo dice lui. Quando invece si cita una terza persona occorre prestare attenzione a due possibili situazioni: l’esperto citato ha veramente fatto quelle affermazioni? C’entrano sul serio con l’argomento? Se sì allora diventa fondamentale capire attraverso quali studi le sue affermazioni vengono supportate. Tutte le tesi di complotto non si basano mai su studi pubblicati in riviste scientifiche, le rare volte che succede si tratta di ricerche obsolete o che si sono rivelate vere e proprie truffe, ai danni della stessa rivista che poi le ha dovute ritrattare.
9. Non sono complottista, dubito
Una strana distorsione del “cogito ergo sum” si aggira nella Rete: lo spettro del “non sono complottista ma”. Chi si presenta in questo modo – più o meno consciamente – farà passare il vostro atteggiamento critico quale sintomo di dogmatismo. Il dubbio è fondamentale ed è alla base dalla modernità. E’ solo grazie al dubitare di ogni certezza rivelata che la Scienza ha potuto crescere. Ma il dubbio non può essere parziale. Chiedete sempre a chi sostiene di dubitare di quali tesi complottiste non è convinto. Se si dubita lo si fa anche delle tesi di complotto, altrimenti si chiama “credere in qualcosa a prescindere dai dati contrari”.
10. Il mito dello studioso indipendente
Anche un idraulico può fare delle scoperte scientifiche. Questo è sacrosanto. Abbiamo già spiegato che contano i dati, non la persona o i titoli, i quali non sono calati dal cielo come investitura divina, bensì il riconoscimento di un lavoro svolto. Se è vero quindi che non è corretto esporre argomenti ad personam o ad hominem è anche vero che spesso i guru delle tesi di complotto non brillano in trasparenza.
Attendibilità dei divulgatori. Non è raro scoprire durante il dibattito che il tale studioso indipendente ha truccato i dati, mediante tagli di filmati, foto-ritocchi, millantato credito, eccetera. Sono situazioni che oltre a compromettere la credibilità della persona, vanno a distorcere irrimediabilmente il contenuto delle tesi riportate. Queste cose è bene farle presente. Come mai chi invita noi a svegliarci prende sul serio le affermazioni di persone palesemente disoneste o confuse?
La Scienza è interdipendente. Infine, non possono esistere studi indipendenti. La Scienza è interdipendente, non può prescindere dalla verifica incrociata dei colleghi. Si chiama “peer review”, serve ad evitare che dati a conferma di una tesi oscurino quelli che invece la smontano senza appello. Chi afferma di essere uno studioso indipendente ammette implicitamente di essersi chiuso alla confutazione, dobbiamo credere ai suoi studi semplicemente per il fatto che la comunità scientifica lo osteggia (qui i paragoni con Galileo e Bruno si sprecano) non perché i suoi risultati si corroborano con altri; meccanismo per difendere il quale i martiri della Scienza hanno dato la vita, perseguitati da chi era mosso da credenze indimostrate, non da chi voleva verificare le basi delle loro affermazioni.