Cinque falsi miti sulle piramidi egizie
Un gruppo di ricercatori avrebbero utilizzato particelle cosmiche conosciute come muoni per la scansione della Grande piramide di Giza, promettendo nuove scoperte riguardanti presunte camere nascoste sotto la costruzione. Non è la prima volta che imprese di questo tipo si rivelano un buco nell'acqua, solo l'anno scorso si parlava per esempio di presunte anomalie termiche nella piramide di Cheope. La prudenza quindi è come sempre d'obbligo. Sono tante le leggende attorno alle piramidi, le più suggestive affermerebbero che non sono stati gli Egizi a costruirle, scomodando talvolta persino visite di alieni nel remoto passato.
1. Erodoto unica fonte
Quanto sappiamo riguardo la paternità delle piramidi ad opera dei faraoni della IV dinastia trova riscontro solo nelle Storie di Erodoto, risalenti al 450 a.C. Vi sarebbe una totale assenza di iscrizioni in queste opere. In realtà esiste anche un altro documento: la Stele dell'inventario che riguarderebbe lavori di restauro commissionati da Cheope sui monumenti di Giza. Venne ritrovata nel 1858 da Auguste Mariette e risale alla XXVI dinastia. Racconta quel che Cheope (IV dinastia) avrebbe fatto. Le prime piramidi, evoluzione della mastaba si devono ai faraoni della III. Neterikhet detto Zoser fu il primo a commissionarne la costruzione, nei pressi di Menfi, in un periodo di massimo splendore della civiltà egizia. I lavori furono affidati ad Imhotep, che dopo sei tentativi realizza la prima piramide a gradoni. Il faraone Snefru farà costruire una piramide a Meidem e due a Dahshur. Oggi sono in macerie, però sappiamo che rappresentano una evoluzione importante nel modo di costruirle, presentando un rivestimento calcareo ed un tempio di accesso. Fino a questo momento parliamo di monumenti dalle fattezze meno evolute – rispetto alla piramide di Cheope – dove ugualmente non appaiono iscrizioni.
2. Gli Egizi non potevano costruire piramidi
I numeri della Grande piramide parlano da soli: 2,3 milioni di blocchi di pietra, quelli del nucleo centrale e nella grande galleria pesano circa 70 tonnellate. All'epoca, nel 2500 a.C gli Egizi lavoravano con strumenti in rame ed inoltre non conoscevano la ruota. Come avevano fatto?
Ciò che sappiamo con certezza è che gli Egizi non usavano dimostrare le formule matematiche, inoltre le tecniche di costruzione erano considerate un segreto di stato, per motivi che possiamo immaginare. Riguardo alla posa in opera abbiamo numerosi indizi che rendono plausibile l'utilizzo di carrucole e tronchi. In sostanza stiamo parlando di metodi molto simili a quelli utilizzati dai Romani. Non conoscere la ruota – intesa come tecnologia di trasporto – non implica l'ignoranza di oggetti tondi ed il loro impiego per altre funzioni tecnologiche. I Greci conoscevano già il principio della macchina a vapore, senza però anticipare la Rivoluzione industriale, esistono culture cosiddette “primitive” che usano grossi dischi di sale o pietra come moneta, pur non conoscendo nemmeno le slitte. Chi nega la paternità degli Egizi non fa che spostare indietro la questione in epoche dove diviene sempre più improbabile la capacità di costruire grandi strutture da parte dell'uomo. Pensiamo a testi di Graham Hancock e Robert Bauval. Per quanto questi autori si tengano prudenti è inevitabile che queste tesi si leghino alla teoria degli antichi astronauti, ovvero ad un aiutino da parte di non precisati esseri extraterrestri.
3. Il "mistero" della costruzione
Sono sufficienti metodi molto più semplici di quanto possiamo immaginare per dare alle piramidi la posizione precisa che hanno. Va detto che tutte hanno lo stesso orientamento, seguono infatti l'andamento delle sinclinadi (rilievi del terreno) hanno tutte quindi una direzione Nordest-Sudest. Basta tracciare due cerchi i cui centri sono punti di una retta e la perpendicolare sarà data dall'intersezione delle circonferenze. Si chiama metodo di collimazione. Quanto andremo a descrivere riguardo il metodo di costruzione si deve allo studio svolto dall'Architetto piemontese Marco Virginio Fiorini, che abbiamo anche avuto modo di intervistare.
Una volta tracciato il perimetro gli Egizi potevano assicurarsi che ciascun angolo collimasse perfettamente sul piano attraverso un canale riempito d'acqua costruito attorno, una sorta di livella perimetrale. A questo punto viene il problema più grande: quello di costruire un monumento così grande conservandone la precisione geometrica. Fiorini ha ipotizzato che fosse sufficiente da parte loro costruire una piramide centrale grezza, senza bisogno di badare troppo alla precisione, questo perché doveva fungere da base per eseguire un tracciamento volumetrico. Era sufficiente poter posizionare al vertice un palo da cui sarebbero state calate delle corde che fissavano i limiti precisi della costruzione finale. Recentemente un team francese ha potuto verificare che effettivamente questa struttura nella Grande piramide esiste.
E' stato trovato anche il villaggio degli operai della Grande piramide nel 1988, con tanto di documenti riguardanti la loro retribuzione. I geroglifici dicono che i lavori andarono avanti per 20 anni. In tutto erano sufficienti duemila uomini: All'incirca 1200 cavatori, mentre a seconda del peso dei blocchi il numero di persone sufficiente a smuoverli variava da dieci a venti, per mezzo di slitte trainate su tronchi lubrificati. Basterebbe che un ingegnere smentisse questi calcoli fornendone di propri. Non è mai stato fatto.
4. Come modellarono i materiali?
Magari utilizzando strumenti fatti di materiale identico, ovvero utilizzando metodi “abrasivi” combinati agli strumenti in rame. Tutto questo con un paziente lavoro di vent'anni. Noi ragioniamo da persone vissute in epoca industriale, dove si richiedono strumenti più avanzati per ottenere risultati impiegando meno tempo possibile.
5. Come trasportarono i blocchi?
Va tenuto presente che solo il 2% del materiale pesava almeno settanta tonnellate, circa il 90% variava tra gli ottocento e i 1200 chili. Durante il percorso di trasporto dall'approdo nelle banchine del Nilo fino alla piana di Giza gli Egizi sfruttarono una pendenza naturale del terreno del 2%, pari a quella dei nostri terrazzi. I blocchi giungevano così ad una collinetta da cui partiva un vero e proprio scivolo naturale che permetteva di calare i massi – non di sollevarli – progressivamente verso il cantiere. Doveva essere un lavoro massacrante, ma non impossibile, tenuto conto che i massi non vengono mai sollevati durante le operazioni di trasporto. I dati erano sempre stati sotto i nostri occhi, ma abbiamo dovuto attendere l'ingegno di un architetto italiano per metterli assieme ed elaborare la soluzione di un mistero che archeologi e storici non riuscivano a risolvere.