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Covid 19

Chi ha l’HIV ha un rischio superiore di contrarre la Covid e di morire per l’infezione

Analizzando 22 studi con i dati di oltre 21 milioni di persone, un team di ricerca dell’Università Statale della Pennsylvania ha determinato che i pazienti contagiati dal virus dell’HIV (responsabile dell’AIDS) hanno un rischio del 24% superiore di essere infettati dal coronavirus SARS-CoV-2 e del 78% di morire per COVID-19.
A cura di Andrea Centini
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Le persone contagiate dal virus dell'HIV, il patogeno responsabile della sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS), hanno un rischio sensibilmente superiore di contrarre l'infezione da coronavirus SARS-CoV-2 e di morire per la COVID-19, la malattia scatenata dal patogeno pandemico. Fino ad oggi non era chiaro quale fosse l'impatto della pandemia sulle persone che convivono con l'HIV, anche perché nella prima fase i farmaci antiretrovirali (come il ritonavir, il lopinavir e il tenofovir) sono stati somministrati in uso compassionevole/off label ai pazienti Covid proprio perché si riteneva potessero essere efficaci anche contro il nuovo coronavirus. Gli studi su questi farmaci tuttavia sono stati generalmente inconcludenti e ora gli approcci standardizzati non li prevedono.

A dimostrare che i positivi all'HIV hanno un rischio maggiore di essere contagiati dal SARS-CoV-2 e di perdere la vita per l'infezione è stato un team di ricerca americano guidato da scienziati del Penn State College of Medicine e del Milton S. Hershey Medical Center dell'Università Statale della Pennsylvania, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Dipartimento di Oncologia – Scuola di Medicina dell'Università di Georgetown e del Terasaki Institute of Biomedical Innovation di Los Angeles. Gli scienziati, coordinati dal dottor Paddy Ssentongo, assistente professore presso il Dipartimento di Scienze della Salute Pubblica dell'ateneo statunitense, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver revisionato 22 studi che includevano i dati di oltre 21 milioni di pazienti europei, nordamericani, africani e asiatici.

Incrociando tutte le informazioni, è emerso che le persone con HIV avevano un rischio maggiore del 24 percento di contrarre l'infezione, inoltre questi pazienti avevano una probabilità del 78 percento superiore di morire per COVID-19. In parole semplici, i sieropositivi all'HIV sono particolarmente esposti ai rischi della pandemia. Circa il 70 percento dei partecipanti allo studio era composto da uomini e l'età media era di 56 anni. Le comorbilità più comuni “rilevate la popolazione sieropositiva erano ipertensione, diabete, broncopneumopatia cronica ostruttiva e malattia renale cronica”, si legge in un comunicato stampa dell'Università della Pennsylvania. Poiché alcune di queste condizioni diffuse tra le persone con HIV sono anche tra le principali patologie pregresse associate alla mortalità per COVID, gli esperti ritengano che possano essere proprio queste condizioni sottostanti a catalizzare il rischio di contagio e morte per i sieropositivi. Non va tuttavia dimenticato che l'AIDS determina una compromissione del sistema immunitario, favorendo così l'eventuale aggressione del SARS-CoV-2. A rendere più significativi questi dati il fatto che la stragrande maggioranza dei pazienti con HIV/AIDS era trattata con farmaci antiretrovirali (terapia ART).

“Studi precedenti erano inconcludenti sul fatto che l'HIV fosse o meno un fattore di rischio per la suscettibilità all'infezione da SARS-CoV-2 ed esiti infausti nelle popolazioni con COVID-19”, ha dichiarato il professor Ssentongo. “Questo perché la stragrande maggioranza delle persone che vivono con l'HIV / AIDS sono trattati con terapie ART, alcune delle quali sono state utilizzate sperimentalmente per trattare la COVID-19”, ha aggiunto l'esperto. Alla luce dei risultati, gli autori dello studio sottolineano l'importanza di vaccinare prioritariamente le persone sieropositive all'HIV. I dettagli della ricerca “Epidemiology and outcomes of COVID-19 in HIV-infected individuals: a systematic review and meta-analysis” sono stati pubblicati sulla rivista Scientific Reports del circuito Nature.

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