Bere alcol fino a svenire raddoppia il rischio di demenza rispetto a chi beve con moderazione
Chi beve talmente tanto alcol da perdere la coscienza ha un rischio doppio di sviluppare demenza (come il morbo di Alzheimer) rispetto a un bevitore moderato, cioè colui che consuma 14 dosi di bevande alcoliche spalmate nell'arco di due settimane. Poiché è sempre più diffusa la moda del cosiddetto binge drinking fra gli adolescenti, cioè il bere fino allo sfinimento durante il weekend, in futuro potrebbe esserci una vera e propria epidemia di patologie neurodegenerative strettamente connesse all'alcol.
A determinare l'associazione tra rischio di sviluppare demenza e l'ubriacarsi fino a svenire è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati dello University College di Londra, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi della Facoltà di Medicina dell'Università di Helsinki (Finlandia); della sezione di Epidemiologia dell'invecchiamento e malattie neurodegenerative dell'INSERM presso l'Università di Parigi (Francia); della Scuola di Salute Pubblica dell'Università di Skovde (Svezia) e di altri istituti europei. Gli scienziati, coordinati dal professor Mika Kivimäki, docente presso il Dipartimento di Epidemiologia e Salute Pubblica dell'ateneo britannico, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver revisionato i risultati di sette studi di coorte con partecipanti provenienti da Regno Unito, Francia, Svezia e Finlandia. In tutto sono stati coinvolti oltre 131mila partecipanti con un'età compresa tra i 18 e i 77 anni al basale, tra il 1986 e il 2012.
Tutti i pazienti non avevano diagnosi di demenza quando sono stati coinvolti nel rispettivo studio, e tutti hanno comunicato attraverso appositi questionari le proprie abitudini sul consumo di alcol. Dall'analisi dei dati, condotta tra il 17 novembre 2019 e il 23 maggio 2020, è emerso che ben 96.591 partecipanti hanno sperimentato perdita di coscienza a causa dell'alcol, e in 10mila (il 10,4 percento) sono svenuti almeno una volta nell'arco degli ultimi 12 mesi. Fra tutti i partecipanti, con un'età media di 43 anni e in maggioranza donne (80.344, il 61,1 percento), 1.081 individui (0,8 percento) hanno ricevuto una diagnosi di demenza. Incrociando tutti i dati è stato evidenziato una chiara associazione tra la perdita di coscienza dopo essersi ubriacati e lo sviluppo della demenza nelle sue molteplici forme, fra le quali l'Alzheimer è la più diffusa al mondo. Chi ha sperimentato la perdita di coscienza per l'alcol aveva il doppio delle probabilità di sviluppare demenza rispetto a un bevitore moderato, indipendentemente dal consumo settimanale complessivo. Un consumo di alcol eccessivo (cioè più di 14 dosi in due settimane, rispetto al sistema britannico) è invece stato associato a un rischio 1,2 volte più elevato rispetto a un consumo moderato. Il rischio di demenza era indipendente da età e sesso.
Ma perché svenire per l'alcol dovrebbe aumentare il rischio di demenza? “Il consumo di elevate quantità di alcol in breve tempo può portare a livelli ematici di alcol neurotossici”, ha dichiarato il professor Kivimäki. “L'etanolo è neurotossico, attraversa la barriera emato-encefalica per raggiungere direttamente i neuroni e, in alte concentrazioni e con il suo metabolita acetaldeide, può avviare processi patologici che portano a danni cerebrali”, hanno sottolineato gli scienziati nel proprio studio, aggiungendo che "gli effetti neurotossici possono essere dovuti al rilascio di grandi quantità di glutammato, che stimola eccessivamente il cervello e si traduce in effetti eccitotossici tramite un'eccessiva attività del recettore N-metil-d-aspartato, che danneggia o uccide le cellule cerebrali".
Gli scienziati hanno dichiarato che il tipo di analisi condotta non definisce rapporti di causa-effetto diretti, che andranno indagati con indagini più approfondite, tuttavia l'associazione emersa appare comunque statisticamente significativa. I dettagli della ricerca “Association of Alcohol-Induced Loss of Consciousness and Overall Alcohol Consumption With Risk for Dementia” sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica JAMA Network.