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Covid 19

Anticorpi contro la Covid un anno dopo l’infezione: il vaccino potenzia l’immunità

Analizzando periodicamente i livelli di anticorpi neutralizzanti e cellule B della memoria in pazienti che hanno avuto la COVID-19, un team di ricerca americano guidato da scienziati dell’Università Rockfeller ha dimostrato che essi restano “relativamente stabili” per almeno un anno. Il vaccino potenzia tutte le componenti dell’immunità umorale aumentando l’efficacia contro le varianti.
A cura di Andrea Centini
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Quando un agente patogeno ci infetta o riceviamo un vaccino contro di esso, la risposta immunitaria che monta nel nostro organismo non è semplicemente legata alla produzione di anticorpi neutralizzanti per combattere il nemico, ma si instaurano una serie di meccanismi per proteggerci sul momento e anche sul medio-lungo periodo. La risposta immunitaria si divide fondamentalmente in due tronconi: la risposta anticorpale o umorale, legata alla produzione di anticorpi e cellule della memoria (linfociti B) che restano quiescenti; e la risposta cellulare, che determina la produzione di cellule specializzate (i linfociti T) nell'eliminazione delle cellule già invase dal patogeno. Un nuovo studio ha appena dimostrato che un'infezione naturale da coronavirus SARS-CoV-2 determina un'immunità umorale della durata di almeno un anno, ma se viene “accompagnata” da un vaccino a RNA messaggero (mRNA) come lo Pfizer e il Moderna si determina un aumento significativo nel numero di anticorpi neutralizzanti e cellule B della memoria efficaci (anche) contro le varianti.

A determinarlo è stata un'indagine condotta da un team di ricerca americano guidata da scienziati del Laboratorio di immunologia molecolare dell'Università Rockfeller e dell'Howard Hughes Medical Institute di New York, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Laboratorio di retrovirologia e della Divisione di Biologia e Ingegneria Biologica del California Institute of Technology (CALTECH) di Pasadena. Gli scienziati, coordinati dal professor Michel C. Nussenzweig, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver studiato i casi di 63 pazienti sopravvissuti alla COVID-19 (l'infezione provocata dal patogeno pandemico), tutti sottoposti a esami periodici – a 1,3 mesi, a 6,2 mesi e a un anno di distanza dal contagio – per verificare i livelli di anticorpi e di cellule della memoria, oltre che la capacità neutralizzante delle immunoglobuline. Poco meno della metà dei pazienti coinvolti nello studio (il 41 percento) ha anche ricevuto le due dosi di un vaccino anti Covid a RNA messaggero.

Dall'analisi dei dati è emerso che l'attività neutralizzante degli anticorpi e il numero di cellule B della memoria specifiche contro il dominio di legame del recettore (RBD) del SARS-CoV-2 restano “relativamente stabili” tra 6 e 12 mesi, scrivono gli scienziati americani nell'abstract dello studio. Nei soggetti vaccinati il farmaco potenzia in modo significativo la risposta umorale incrementandone tutti le componenti. Come risultato, l'attività neutralizzante degli anticorpi risulta efficace anche contro le varianti in circolazione. “Il meccanismo alla base di queste significative risposte coinvolge la mutazione somatica dell'anticorpo in corso, il turnover clonale delle cellule B di memoria e lo sviluppo di anticorpi monoclonali che sono eccezionalmente resistenti alle mutazioni dell'RBD del SARS-CoV-2, compreso quello legato alle varianti di interesse”, hanno scritto il professor Nussenzweig e i colleghi. Le cellule B che producono questi anticorpi altamente efficaci aumentano notevolmente dopo la vaccinazione. I risultati dello studio suggeriscono che l'immunità in chi è stato infettato è duratura, ma chi riceve anche il vaccino produce cellule B e anticorpi efficaci (anche) contro le varianti. I dettagli della ricerca “Naturally enhanced neutralizing breadth against SARS-CoV-2 one year after infection” sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica Nature.

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