Addio a Renato Dulbecco, il Nobel per la Medicina si è spento a 98 anni
Nel 1947 alcune espressioni tipiche dell'idioma contemporaneo probabilmente non si usavano ancora; però Renato Dulbecco avrebbe potuto essere definito, già all'epoca, un«cervello in fuga» poiché scelse di imbarcarsi e di andare incontro ad un destino consacrato alla scienza e alla ricerca che si trovava proprio lì, nella terra promessa oltreoceano. Partiva per raggiungere il vecchio compagno di corso (e anch'egli Nobel per la medicina nel 1969) Salvador Luria, fuggito dall'Italia in seguito alla promulgazione delle Leggi Razziali da parte di Mussolini e giunto negli Stati Uniti nel 1940; partiva ed affrontava il viaggio proprio con un altro personaggio motivo di orgoglio e vanto del nostro piccolo paese, il Senatore a Vita e Premio Nobel per la medicina Rita Levi Montalcini.
La precocità del genio – Aveva sedici anni quando si iscrisse alla Facoltà di Medicina dell'Università di Torino; con i suoi colleghi Nobel seguì i corsi dell'anatomista Giuseppe Levi, a poco più di vent'anni si laureò (con Lode) dimostrando un acume superiore, una rara dedizione e un'intelligenza incredibilmente precoce. Erano gli anni '30 e le decisioni professionali del neo dottor Dulbecco dovettero cedere il passo ai cannoni della guerra che imponevano in tutta Europa (e non solo) le proprie assurde leggi: venne così richiamato alle armi nel 1939 in qualità di ufficiale medico. Prima sul fronte francese, poi su quello sovietico, prestando la propria opera, come tanti altri, alle infinite vittime della II Guerra Mondiale. Quando nel 1943 poté tornare in Italia, entrò a far parte del Comitato di Liberazione Nazionale di Torino, unendosi così alla Resistenza: contemporaneamente ricominciò a lavorare ai suoi studi; in breve tempo conseguì anche una laurea in Fisica, disciplina da sempre molto amata e che sarebbe stata indispensabile per lo sviluppo delle sue ricerche.
Gli Stati Uniti – Poi, nel 1947, la scelta degli Stati Uniti; l'opera del giovane Dulbecco, il talento che immediatamente salta all'occhio del mondo scientifico ed accademico, gli valsero nel giro di due anni l'offerta di lavoro da parte della CalTech, prestigioso centro di studi e laboratorio californiano, senza dubbio uno dei più importanti al mondo. Lì, all'inizio degli anni '60, quella illuminazione che avrebbe aperto la strada verso il Nobel a lui e che avrebbe consentito, in futuro, di comprendere aspetti rilevanti dei meccanismi legati ad alcuni tipi di neoplasie: dopo che, nel 1955, aveva osservato alcune specifiche caratteristiche del virus della poliomielite che si erano rivelate utili per la messa a punto del vaccino contro questa temutissima malattia da parte di Albert Stabin, aveva indirizzato la gran parte dei propri interessi nei confronti dei virus, iniziando contestualmente ad osservare le modalità di origine e sviluppo dei tumori.
Premio Nobel per la Medicina – Gli anni di studio lo portarono, nel 1964 al neo-nato centro di studi chiamato Salk Institute, nella città californiana di La Jolla (dove è deceduto oggi); lì perfezionò le sue ricerche giungendo alla scoperta che, nel 1975, gli sarebbe valsa il Premio Nobel assieme a David Baltimore e Howard Temin. L'individuazione delle modalità di interazione tra virus oncogeni e il materiale genetico della cellula attaccata, la messa a fuoco dei mutamenti che il DNA virale apportava su queste una volta alterate, l'identificazione dell'enzima responsabile del trasferimento del materiale genetico del virus all'interno della cellula, hanno mutato per sempre le prospettive terapeutiche su una malattia che è stata, e continua ad essere, uno dei più grandi flagelli del nostro tempo. Gli anni successivi furono consacrati, in particolar modo, agli studi sulle basi genetiche dei tumori; fu anche in quest'ottica che, tornato in Italia nel 1987, divenne coordinatore del ramo italiano del Progetto Genoma Umano, il gruppo di ricerca internazionale che ha permesso di mappare interamente il DNA dell'uomo.
Il rapporto con l'Italia – Sebbene avesse cittadinanza americana fin dal 1953, sebbene il sodalizio con gli Stati Uniti avesse dato sempre grandissimi frutti, Renato Dulbecco non ha mai troncato i legami con l'Italia. Al punto da accettare senza riserve l'invito di Fabio Fazio, nel 1999, a partecipare alla conduzione del Festival di Sanremo, scegliendo di destinare il proprio compenso in un progetto a favore del rientro in patria del «cervelli in fuga» all'estero. Un'iniziativa simbolica, in grado di narrarci molto di quell'uomo dal volto sorridente che, in quell'occasione così particolare, ebbe modo di farsi conoscere come un gentiluomo d'altri tempi, oltre che per la mente superiore quale è stata; una popolarità meritata anche per le numerose battaglie di cui si è sempre fatto carico, dalla ricerca sulle staminali, all'importanza dell'evoluzionismo nei testi scolastici. Sempre con la fermezza e la riservatezza che solo una persona della levatura di Renato Dulbecco poteva avere.