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A che punto è la terapia Covid con il plasma iperimmune

In Italia cresce l’attesa per i risultati dell’analisi preliminare dello studio Tsunami, la sperimentazione promossa dall’Azienda ospedaliero-universitaria Pisana e promossa da ISS e Aifa. I dati finora emersi dai trial internazionali sembrano però indicare che non si sia registrato alcun beneficio ma neanche effetti collaterali.
A cura di Valeria Aiello
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Manca ancora una chiara dimostrazione del suo benefico ma, per quanto complessa, sembra sia sufficientemente sicura. Si potrebbe riassumere così quello che ad oggi sappiamo dell’efficacia e della tollerabilità della terapia con il plasma iperimmune nei pazienti con Covid-19, con l’occasione importante per l’Italia di fornire risultati che potranno essere molto utili a capire se il plasma dei guariti è realmente valido nella cura dell’infezione da coronavirus Sars-Cov-2.

A che punto è la terapia Covid con il plasma iperimmune

La terapia con il plasma iperimmune, o plasmaterapia, consiste nell’infusione di plasma derivato dal sangue dei guariti, in questo caso da Covid-19, al fine di fornire ai malati gli anticorpi utili a neutralizzare il virus. In pratica, le immunoglobuline prodotte in seguito all’infezione virale da chi ha sconfitto la malattia vengono sfruttate a scopo terapeutico. Gli studi clinici per valutare l’efficacia delle infusioni di plasma iperimmune sono partite quasi subito dopo lo scoppio della pandemia ma, come già accentato, finora non si è arrivati a una chiara dimostrazione del suo beneficio.

Ancora nessuna certezza, come evidenziato dai dati di un recente studio condotto in Argentina, un trial randomizzato che ha arruolato 333 pazienti Covid con polmonite severa, di cui 228 hanno ricevuto un’infusione di plasma e 105 placebo. I risultati dello studio, pubblicati sul New England Journal of Medicine, hanno indicato che non sono state osservate differenze significative nello stato clinico o nella mortalità, ma neanche nella necessità di dover ricorrere a terapia intensiva e alla ventilazione meccanica nei pazienti curati con il plasma. In altre parole, nonostante il suo impiego abbia suscitato grandi interessi e aspettative, ad oggi non ci sono prove della sua efficacia contro l’infezione da Sars-Cov-2, un beneficio che finora è stato chiaramente dimostrato solo nel trattamento della febbre emorragica argentina, per la quale è considerato uno standard di cura.

Cresce l'attesa per i primi risultati del trial italiano

D’altra parte, alcuni aspetti tecnici di questo studio, come la titolazione del plasma utilizzato piuttosto che le limitazioni dovute ai pazienti arruolati (tutti con una polmonite grave da Covid-19) restano da approfondire e in tal senso potranno rivelarsi molto preziosi i risultati del trial italiano denominato “Tsunami”, il protocollo di studio per il trattamento dei pazienti Covid-19 proposto dall’Azienda ospedaliero-universitaria Pisana e promosso dall’istituto Superiore di Sanità e dall’Agenzia italiana del farmaco (AIFA).

Lo studio clinico, approvato nel mese di maggio e di fatto partito con l’arruolamento a metà luglio, ha finora coinvolto oltre 380 pazienti dei 476 previsti dalla sperimentazione, un numero che ha permesso di superare la soglia di 250 necessaria per la prima analisi preliminare, i cui dati dovrebbero essere disponibili nelle prossime settimane. Si dovrà quindi attendere ancora alcuni giorni per conoscere i primi risultati, sperando che la plasmaterapia possa fornire quelle certezze necessarie a un impiego su larga scala.

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