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A cento anni dall’estinzione il gipeto torna a volare sulle Alpi

Grazie a un percorso internazionale di recupero, si stima che oggi sulle Alpi vivano circa 230 esemplari di gipeto.
A cura di Andrea Centini
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Tra le minacce alla biodiversità, le credenze popolari sono state – e in alcuni casi lo sono tuttora – fra le più subdole in assoluto, riuscendo a influenzare profondamente il nostro rapporto con alcune specie. Pipistrelli, squali, lupi e serpenti, giusto per citare le più coinvolte nell'immaginario collettivo occidentale, nella letteratura sono state spesso associate al concetto del “male”, divenendo oggetto di vere e proprie persecuzioni rinvigorite da credenze assurde e grottesche, come la capacità di impigliarsi nei capelli o di succhiare sangue per gli sventurati mammiferi volanti nostrani. Non si può inoltre dimenticare il numero di specie estinte o portate sull'orlo dell'estinzione poiché ritenute miracolose nella medicina tradizionale, in particolar modo quella orientale, causa di una mattanza insensata che perdura nonostante la sensibilità verso l'ambiente sia oggi diffusa in tutto il mondo. È in questo contesto alimentato dall'ignoranza che il maestoso gipeto (Gypaetus barbatus), un uccello appartenente al gruppo degli avvoltoi ma più simile a un grosso rapace tipo, cento anni addietro fu portato all'estinzione sulle Alpi, principalmente a causa del nome comune ingiustamente affibbiatogli, ovvero quello di “avvoltoio degli agnelli”, benché esso si nutra solo di ossa recuperate da animali morti e talvolta di qualche tartaruga. Sino all'inizio del XIX secolo questo animale era diffuso sulle principali catene montuose dell'Europa meridionale e centrale, ma lo sterminio perpetrato dagli allevatori preoccupati per il proprio bestiame, oltre che dai veleni nelle carcasse di volpi e lupi di cui esso si nutriva, uccisi anch'essi dall'uomo per ignoranza e paura, l'hanno condotto a un rapidissimo declino, che in Italia, in epoca monarchica era persino incentivato da una taglia elargita per ogni esemplare ucciso. Oggi, dopo un secolo di assenza dai nostri cieli, il gipeto è tornato a sorvolare il Parco nazionale dello Stelvio, grazie a un programma di reintroduzione internazionale che circa trenta anni fa è stato avviato in alcuni Paesi dell'Unione Europea.

L'ambizioso progetto FCBV (Foundation for the Conservation of the Bearded Vulture) è riuscito a dare risultati straordinari non solo grazie all'intervento del mondo accademico, ma anche di semplici cittadini che hanno diffuso la sensibilizzazione verso questa e altre specie. Basti pensare che una parte dei cacciatori impegnati nelle riserve dei comuni di Lisandro, Lasa e altri, per tutelare il gipeto hanno iniziato a utilizzare contro le prede proiettili di rame anziché di piombo, un metallo estremamente tossico se ingerito. In base alle stime più recenti, sulle Alpi oggi dovrebbero vivere circa 230 gipeti, alcuni dei quali nella Val Martello, uno dei principali siti per la reintroduzione della specie. Tra il 2000 e il 2008, infatti, in quest'area sono stati messi in libertà ben undici giovani esemplari, attraverso un programma che prevedeva la costruzione di nidi artificiali e il posizionamento strategico del cibo per invogliare i piccoli a cercarlo individualmente. La notizia più bella per gli ambientalisti è tuttavia arrivata lo scorso anno, il 20 luglio 2015, quando venne annunciata la nascita del primo pulcino in natura, sintomo di un recupero reale. Altri due piccoli sono nati a Cogne e a Rhemes, un luogo simbolo dove nel 1913 fu ucciso l'ultimo esemplare censito e condannato a morte dall'ignoranza. Il processo di ricolonizzazione dei gipeti procede sotto i migliori auspici, e benché la conservazione stia dando ottimi risultati, il direttore dell'Ufficio provinciale Parco nazionale dello Stelvio Hanspeter Gunsch sottolinea che il successo sarà pieno solo quando il cosiddetto "avvoltoio delle Alpi", uno degli uccelli europei più grandi con un'apertura alare che sfiora i tre metri, sarà in grado di ripopolare anche le aree non protette, riconquistando appieno il proprio habitat naturale.

[Foto di Owlstalk]

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