6 luoghi comuni sugli introversi
In un mondo che parla sempre e che, parlando, pretende di partecipare a tutto, il loro silenzio è assordante ed eccentrica la loro ritrosia. Gli introversi sono, secondo una stima piuttosto generica, circa un terzo della popolazione e sono spesso associati ad una serie di pregiudizi che impedisce a riconoscerne le peculiarità e le potenzialità. A parlarne è l'HuffPo, che prende spunto dal saggio di Susan Cain, "Quiet: The Power of Introverts in a World That Can't Stop Talking" (lett.: "Quiete: il potere degli introversi in un mondo che non riesce a smettere di parlare"). In questo libro l'autrice parla della vita degli introversi in un mondo che tendenzialmente valorizza le qualità tipiche dell'estroversione, quali schiettezza e assertività contro solitudine e contemplazione silenziosa. Ma la dicotomia introverso-estroverso è fortemente viziata da una serie di luoghi comuni da sfatare.
1. L'introverso è timido = tutti i timidi sono introversi
Il primo errore è confondere il timido con l'introverso. Nonostante capiti spesso che l'uno abbia le caratteristiche dell'altro, è anche vero che questa sovrapposizione non è sistematica. I due termini – timidezza e introversione – non sono affatto sinonimi. Ad esempio Bill Gates, ricorda Susan Cain, è introverso, ma nient'affatto timido. Secondo Sophia Dembling, autrice di "The Introvert's Way: Living a Quiet Life in a Noisy World" (lett.: "La via dell'introverso: vivere una vita tranquilla in un mondo rumoroso"), la timidezza ha a che fare con il disagio e l'ansia nei momenti di interazione sociale, mentre l'introversione è simile ad un'autoricarica, un acquisto di energia nella solitudine. Ciò implica che, così come non tutti gli introversi sono intimoriti dall'interazione sociale, non tutti coloro che cercano la compagnia degli amici sono a proprio agio in gruppi aperti.
2. Agli introversi non piace stare tra la gente
E' vero che gli introversi hanno bisogno della solitudine e di rifugiarvisi di tanto in tanto, ma è del tutto errata la convinzione secondo cui essi siano afflitti dalla compagnia. La differenza sostanziale è un'altra: non si tratta di evitare necessariamente le dinamiche sociali, ma di volerle vivere in maniera differente. E' ancora la Dembling a parlare: "Ci sono un sacco di etichette negative sugli introversi – socialmente ansiosi, disprezzano la compagnia delle persone, facili a giudicare gli altri (perché ci sediamo in silenzio). Ma gli introversi potrebbero semplicemente preferire l'uno-contro-uno. Potremmo stare bene nelle grandi feste, ma sedendoci e guardando l'azione da bordo campo. L'estroverso può pensare che si tratti di incapacità di divertirsi, ma questa interpretazione può far sorridere l'introverso". Insomma, non bisogna confondere chi non ha pregiudizi nei confronti della solitudine, da chi è misantropo. L'introverso – dice ancora la Dembling – preferisce concentrarsi su pochi, selezionati rapporti, piuttosto che sulla quantità.
3. Gli introversi non sono buoni leader né bravi oratori
Bill Gates, Abraham Lincoln e Gandhi sono solo alcuni dei grandi oratori che la storia ha classificato come "introversi". In realtà, secondo una ricerca condotta dall'Università dello Iowa, entrambi i modelli di personalità sono adatti a ricoprire ruoli di leadership ed è per questo che le aziende avrebbero bisogno di rivedere i propri pregiudizi riguardo l'introversione. Secondo un'altra ricerca ancora, sono sempre questi individui silenziosi quelli più bravi a costruire uno spirito di squadra all'interno del gruppo. Per quanto riguarda la capacità di parlare in pubblico, secondo la Dembling gli introversi possono eccellere grazie alla loro attenzione per la qualità e alla tendenza a preparare il discorso fin nei minimi dettagli.
4. Gli introversi hanno una personalità negativa
L'equivoco probabilmente nasce da una tendenza piuttosto diffusa ad usare chiavi interpretative tipiche dell'estroverso. Secondo il suo punto di vista, la solitudine genera noia, stanchezza e tristezza. Pertanto la tendenza dell'introverso alla quiete viene facilmente confusa con uno stato emotivo vicino alla depressione. Un pregiudizio, questo, che evidentemente dimentica le differenti premesse tra le due personalità. Ora, sebbene gli introversi non abbiano una tendenza innata alla depressione, è pur vero che la riflessione intensa può portare a rimuginare, ovvero ad un pensiero ossessivo che può celare ansia o depressione. Dembling, a tal proposito, invita alla prudenza: "Dal momento che l'introverso ama pensare e stare da solo, abbiamo bisogno di tenerci sotto controllo".
5. Gli introversi sono più intellettuali e più creativi degli altri
E' vero che Albert Einstein, Marcel Proust e Charles Darwin sono state menti eccelse dalla personalità notoriamente pacata; ma è vero anche che ritenere un introverso più intelligente e creativo è un pregiudizio positvo – ma pur sempre un pregiudizio. Gli estroversi sono egualmente ricchi di qualità riflessive, semplicemente l'idea valida nasce nel momento in cui si trovano in un'occupazione o stato d'animo introverso. Spiega infatti la Dembling "la creatività si realizza in uno spazio tipicamente introverso… ma non vuol dire che ne abbiamo il monopolio!".
6. Facile a dirsi chi è introverso e chi no!
All'inizio dell'articolo abbiamo riportato un dato generico: un terzo della popolazione è introverso. Questo valore, forse, sarà apparso approssimato per eccesso, ma in realtà bisogna dissolvere un altro luogo comune per comprendere la reale portata numerica degli introversi, quello secondo cui si vedono: sono quelli silenziosi in disparte. Di certo è vero che in "un mondo che non riesce a smettere di parlare" – tanto per riprendere il felice titolo del saggio di Susan Cain – chi sta in silenzio si nota, ma è altrettanto vero che la nostra società spesso attiva meccanismi di premiazione/penalizzazione sulla base – rispettivamente – della presenza/assenza di qualità tipiche dell'estroverso. Vale a dire che l'introverso, se può, deve comportarsi come un estroverso. E a volte ci riesce molto bene, comportandosi in maniera gioviale tra sconosciuti e da animatore di happy hour post-lavoro, magari divertendosi anche, ma attendendo veramente solo una cosa: tornare a casa, per stare solo, riflettere e ricaricarsi.