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Stati Uniti: "Non pubblicate integralmente gli studi sul supervirus"

La paura che i dati potrebbero finire nelle mani dei terroristi, ha spinto Washington a chiedere a due delle maggiori riviste specializzate, Nature e Science, di non pubblicare i risultati di due studi sul virus dell’influenza aviaria, H5N1. Studi che hanno portato alla creazione in laboratorio del virus ad altissima contagiosità.
A cura di Nadia Vitali
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La paura che i dati potrebbero finire nelle mani dei terroristi, ha spinto Washington a chiedere a due delle maggiori riviste specializzate, Nature e Science, di non pubblicare i risultati di due studi sul virus dell'influenza aviaria, H5N1. Studi che hanno portato alla creazione in laboratorio del virus ad altissima contagiosità.

L'annuncio era stato dato nemmeno un mese fa, suscitando immediatamente non solo polemiche ma anche una certa paura e forti sospetti in chi aveva appreso la notizia; nei laboratori dell'Erasmus Medical Center di Rotterdam, grazie ad alcuni interventi sul genoma, i ricercatori olandesi erano riusciti a creare una variante ad altissima contagiosità dellH5N1, noto più comunemente come virus dell'influenza aviaria. Studi molto simili erano in corso anche nell'Università del Wisconsin con l'uguale intento di comprendere i meccanismi di funzionamento del virus onde prevederne la diffusione e creare gli strumenti per far fronte allo scatenarsi di una eventuale pandemia.

L'H5N1 normalmente non si trasmette facilmente tra gli uomini: esso causa l'influenza tra i voltatili e raramente infetta gli individui ma, nel caso in cui questo accada, la sua mortalità è incredibilmente alta. Da quando è stato scoperto, nel 1997, «solo» 600 persone hanno contratto l'infezione ma più della metà di queste è morta; quasi tutti sono stati contagiati dagli uccelli e la maggior parte dei casi si è verificata in Asia. L'agente patogeno creato grazie al lavoro degli studiosi, invece, pur mantenendo intatto il suo potenziale distruttivo, ha una contagiosità estremamente più elevata che potrebbe farne, secondo alcuni, addirittura un'arma di distruzione di massa, capace di uccidere una parte consistente della popolazione mondiale.

A quattro settimane dalla notizia, dunque, il virus sta tornando a far parlare di sé, giacché negli Stati Uniti sta scoppiando un vero e proprio «caso scientifico». Il National Science Advisory Board for Biosecurity, il comitato federale per la biosicurezza della ricerca scientifica, ha infatti chiesto esplicitamente alle due celebri ed autorevoli riviste scientifiche Science e Nature, che avrebbero pubblicato i risultati dello studio olandese e di quello statunitense, di non diffondere tutti i dati forniti dai due gruppi di ricerca, omettendo «i dettagli degli esperimenti e i dati sulle mutazioni che potrebbero favorire la replicazione degli esperimenti». In particolare, l'occhio preoccupato di Washington guarda soprattutto alla minaccia del bioterrorismo, fenomeno che, nella fattispecie, non si è mai rivelato un pericolo reale nella storia degli ultimi anni ma che è sempre stato percepito come tale.

Normalmente, gli articoli scientifici delle riviste specializzate contengono ogni tipo di informazione, dal momento che queste potrebbero essere necessarie ad altri ricercatori per riprodurre l'esperimento o per avere dati di partenza sui quali costruire altri studi; sarebbe la prima volta in assoluto che una restrizione del genere viene applicata, ha ricordato Amy Patterson, dell'ufficio delle attività biotecnologiche del National Institutes of Health: facile dunque immaginare che ricercatori ed editori di Nature Science non concordino con questa decisione «dall'alto». Ad ogni modo, tutti stanno aspettando una risposta dal Governo statunitense, divisi tra quanti pensano che la ricerca non possa essere in alcun modo ostacolata e quelli che vedono, nella diffusione di informazioni così preziose, il pericolo che potrebbe derivare se la ricerca finisse nelle mani sbagliate.

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