Sì, è vero, trent’anni fa respiravamo meglio
Trent'anni fa non esistevano automobili che inquinano di meno, non c’era una particolare sensibilità ambientale e di aree pedonali, nonché di ZTL, in pochi avevano sentito parlare: eppure l’aria era sicuramente più respirabile di quella odierna.
25 anni di ricerche
Escono proprio in questi giorni di allarme smog e di blocchi forzati del traffico nelle grandi città i risultati di uno studio durato 25 anni che ha visto l’Istituto di fisiologia clinica del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Pisa collaborare con l’Istituto di Biomedicina e Immunologia Molecolare di Palermo e le università di Pisa e Verona. I dettagli del lavoro, pubblicati da Respiratory Medicine, evidenziano come lo stato dei nostri polmoni sia andato drammaticamente peggiorando negli ultimi decenni, a dispetto di un atteggiamento generale che, almeno in apparenza, sembra riservare maggiore attenzione alle tematiche ambientali.
Più rinite, più asma, più catarro (e non solo)
Dal 1985 i ricercatori hanno seguito un campione di oltre 3000 soggetti, tutti residenti nel comune di Pisa: l’obiettivo era quello di indagare nella prevalenza delle malattie respiratorie, secondo un filone di studi attivo anche in altri Paesi.
Ne è emerso che i tassi di prevalenza di alcuni disturbi polmonari sono più che raddoppiati negli ultimi 25 anni: per gli attacchi d’asma si è passati dal 3.4% al 7.2%, per la rinite allergica dal 16.2% al 37.4%, mentre l’espettorato (catarro) è arrivato a superare il 19% quanto era all’8.7% nel 1985; più che triplicati i tassi di broncopenumopatia cronica ostruttiva, affezione che ostruisce le vie respiratorie e che non è completamente reversibile, passata dal 2.1% al 6.8%. Dati allarmanti che confermano quanto già osservato dagli scienziati, ad esempio, in Svezia.
Fumo ed esposizione lavorativa
Partendo inizialmente da un campione di gruppi familiari scelto in maniera casuale, i ricercatori hanno poi ampliato le osservazioni sui nuovi membri delle famiglie man mano che passavano gli anni. Per la precisione – hanno spiegato – hanno articolato lo studio in tre periodi: dal 1985 al 1988, dal 1991 al 1993 e dal 2009 al 2011. In riferimento a ciascuno dei tre periodi, è stato chiesto ai partecipanti di rispondere ad un questionario nel quale dovevano indicare a quali fattori di rischio fossero esposti e a quali disturbi fossero soggetti. Si è così confermato che l’esposizione lavorativa e l’abitudine di fumare restano i fattori di rischio più significativi per lo sviluppo di affezioni respiratorie e il problema riguarda anche chi fuma meno di sette pacchetti di sigarette all’anno (pochissimo).
Un problema ambientale
Ma il fattore inquinamento ambientale ha un peso determinante, sia per le allergopatie sia per le malattie croniche ostruttive: in generale, lo studio ha mostrato come i soggetti residenti in area cittadina presentino maggiori probabilità di sviluppare rinite allergica (19%), tosse (14%), espettorato (30%), broncopneumopatia cronica ostruttiva (54%) rispetto a quelli che, vivendo in zone suburbane, sono esposte ad una minore quantità di inquinanti.
L’incremento dell’impatto delle malattie respiratorie sulla popolazione indicato dai risultati suggerisce di prestare ancora maggior attenzione agli sviluppi e alle cause di disturbi così comuni, di pianificare indagini epidemiologiche longitudinali e ampliare le conoscenze sui fattori (allergeni, inquinanti atmosferici…) potenzialmente associati a tale aumento. – Giovanni Viegi, Ibim-Cnr di Palermo
Quelli di questi giorni sono tutt'altro che allarmismi.