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Previsione terremoti, possibile ‘indizio’ in una deformazione legata al sisma dell’Aquila

Sfruttando complessi rilievi satellitari i ricercatori italiani dell’INGV in collaborazione con diversi enti e università hanno scoperto una deformazione della superficie terrestre legata al terremoto dell’Aquila, lo sprofondamento di due bacini che potrebbe rappresentare un indizio per la previsione dei terremoti.
A cura di Andrea Centini
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I rilievi satellitari nell'area colpita dal terremoto dell'Aquila hanno fatto emergere una deformazione che in futuro potrebbe essere sfruttata come indizio per prevedere i terremoti, ambizioso obiettivo inseguito dai sismologi di tutto il mondo ma che al momento resta al limite della fantascienza. La speranza giunge dai ricercatori italiani dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), che attraverso una complessa serie di analisi – effettuate in collaborazione con diversi enti e atenei – sono riusciti a individuare un possibile precursore del fenomeno. Si tratta di una particolare deformazione topografica chiamata subsidenza, ovvero l'abbassamento verticale della superficie terrestre, come lo sprofondamento del fondo di un bacino idrico o di una qualsiasi area continentale.

Nello specifico, i ricercatori coordinati dal dottor Marco Moro ne hanno individuata una di appena 15 millimetri in due bacini nei pressi dell'epicentro del devastante terremoto dell'Aquila del 2009, che la notte del 6 aprile alle 3:32 provocò la morte di 309 persone, oltre 1600 feriti e 10 miliardi di euro di danni stimati. Tale deformazione si sarebbe avviata tre anni prima del catastrofico evento – di magnitudo momento 6.3 – ed era “probabilmente legata alla fase preparatoria del terremoto”, si legge nel comunicato stampa rilasciato dall'INGV.

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“La deformazione osservata prima del terremoto è stata indotta dal cedimento di alcuni livelli stratigrafici, causato dal progressivo abbassamento delle falde acquifere superficiali, determinato, a sua volta, dalla migrazione dei fluidi in profondità”, ha sottolineato l'autore principale della ricerca, avviata nel 2011 e durata circa 6 anni. “I vuoti delle fratture vengono riempiti di conseguenza dai fluidi circostanti che, in condizioni geologiche e idrogeologiche favorevoli, possono determinare una migrazione dei fluidi più superficiali. Per poter imputare il segnale misurato alla fase preparatoria del terremoto è stato necessario, quindi, escludere le ulteriori cause che avrebbero potuto influenzare lo spostamento della superficie topografica”, ha aggiunto il dottor Moro.

Per individuare queste piccolissime ma significative deformazioni il team di ricerca ha dovuto sfruttare “tecniche interferometriche satellitari, applicate a immagini radar InSAR (Interferometric Synthetic Aperture Radar), atte a misurare le deformazioni della superficie terrestre”. L'idea degli studiosi è quella di andare a cercare la presenza delle medesime deformazioni in occasione di altri forti terremoti “in contesti tettonici e geologici diversi”, al fine di determinare se possa trattarsi realmente di un efficace strumento predittivo per gli eventi sismici. In caso affermativo, sarebbe una svolta epocale nel campo della ricerca scientifica. I dettagli dello studio, chiamato “New insights into earthquake precursors from InSAR”, sono stati pubblicati sulla rivista Scientific Reports del circuito Nature.

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