Nell’antica civiltà Chaco comandavano le donne: la conferma da un’analisi del DNA
Un team di ricercatori del Museo Americano di Storia Naturale e delle università di Pennsylvania, Virginia e Harvard ha scoperto che nell'antica civiltà Chaco, un popolo di epoca precolombiana vissuto tra Messico e l'attuale New-Mexico un migliaio di anni fa, la leadership veniva trasmessa attraverso la linea materna. Gli scienziati, coordinati dal professor Douglas Kennett, docente di antropologia presso l'Università della Pennsylvania, lo hanno scoperto in una maniera piuttosto insolita e curiosa, ovvero attraverso l'analisi del DNA di alcuni corpi rinvenuti nel Pueblo Bonito, la più famosa e imponente “Grande Casa” del Canyon Chaco, una serie di strutture in muratura caratteristiche di questa civiltà primitiva.
La mappatura genomica delle nove salme, recuperate nella stanza numero 33 del Pueblo Bonito, ha fatto emergere infatti che avevano tutte lo stesso identico DNA mitocondriale, un tipo di materiale genetico che si trasmette soltanto dalla madre. Gli studiosi hanno capito che si trattasse di figure di alto rango poiché assieme ai corpi erano assiepati una moltitudine di oggetti preziosi ed esotici, inoltre la maggior parte degli altri corpi rinvenuti nell'area erano stati tumulati al di fuori dell'enorme stabile, dotato di 650 stanze collegate fra loro da vere e proprie strade. “Abbiamo capito subito di esserci imbattuti in individui venerati, dato il trattamento eccezionale che avevano ricevuto dopo la morte”, ha sottolineato il professor Adam Watson del Museo Americano di Storia Naturale. Solitamente la scoperta di dinastie matriarcali o patriarcali viene fatto attraverso lo studio di manoscritti e simili, tuttavia i chacoani (o puebloani) non si cimentavano con la scrittura, dunque si è trattata di una vera sorpresa.
Dai dati raccolti è emerso che i nove corpi della stanza 33 sono stati tumulati nell'arco di 300 anni, dall'800 al 1.130 d.c., un periodo che collima con la fine di questa affascinante civiltà precolombiana. I dettagli dello studio sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica Nature Communications.
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