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Lo Zika virus causa microcefalia: arriva la conferma ufficiale

Anche in assenza di una prova certa, negli Stati Uniti si sbilanciano, ormai, nel riconoscere che il virus è teratogeno: la speranza è quella di incrementare le politiche di prevenzione nei Paesi interessanti.
A cura di Nadia Vitali
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Da molti mesi, ormai, si parla di Zika e della microcefalia che colpirebbe i bambini, qualora il virus infetti una donna incinta. Benché in alcuni Paesi, Brasile in testa, si fosse registrata un'elevata incidenza di malformazioni fetali proprio tra le donne risultate positive allo Zika virus durante la gravidanza, manca la prova scientifica certa di un nesso tra i due elementi: nesso che comunque, secondo i medici americani dei Centers for Disease Control and Prevention, ci sarebbe. Anche se non è ancora possibile individuare esattamente come agisca.

"Esplosione" dello Zika virus

A partire dal 2015, in Brasile sono stati riportati centinaia di casi di nuovi nati affetti da microcefalia, malformazione che comporta una circonferenza cranica inferiore alla media. L'incremento nel numero di infezioni da Zika virus è stato messo, nel giro di poco tempo, in relazione con tale fenomeno. Nel febbraio del 2016, l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato che l'epidemia di microcefalia costituiva un'emergenza sanitaria pubblica internazionale. Negli ultimi mesi, in assenza di prove certe che non fossero esclusivamente il rapporto tra i fatti, la gran parte degli scienziati, assieme all'OMS, si è guardato bene dallo sbilanciarsi affermando che lo Zika virus causi la microcefalia; parallelamente diversi gruppi di ricerca hanno portato avanti lavori nella direzione dell'individuazione del problema.

Incidenza della microcefalia in Brasile (BMJ 2016)
Incidenza della microcefalia in Brasile (BMJ 2016)

La conferma del legame (con molti dubbi)

Adesso, però, sembra giunto il momento della conferma ufficiale, quanto meno sulla base del fatto che i Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie statunitensi hanno diramato comunicati relativi ai pericoli per le donne incinte colpite da Zika virus che – ricordiamo – si trasmette principalmente attraverso la puntura di una zanzara appartenente al genere Aedes.

Purtroppo le questioni aperte restano, tuttavia pare che sia giunto il momento di abbandonare la, sempre dovuta, prudenza scientifica, in favore di un atteggiamento che incrementi le politiche di prevenzione volte ad informare le donne sui seri pericoli a cui vanno incontro i loro figli e che intensifichi le procedure di disinfestazione nelle zone interessate. Tutto questo, naturalmente, sarebbe sempre accompagnato dalla ricerca per un vaccino, obiettivo che resta prioritario.

Restano infatti molte perplessità: ad esempio, c'è un momento della gravidanza più rischioso per essere colpiti dall'infezione? Oltretutto non esiste ancora un'evidenza che stabilisca la teratogenicità del virus. Ma è pur vero che la questione deve essere affrontata per quello che è: un'emergenza.

Lo studio brasiliano

Intanto, in uno studio pubblicato dal British Medical Journal, i ricercatori brasiliani guidati da Maria de Fatima Vasco Aragao, spiegano di aver osservato, grazie alla scansione a tomografia computerizzata e all'Imaging a risonanza magnetica, quali tipi di anomalie si sviluppano nei cervelli dei bambini che nascono con malformazione a carico del cranio.

Il lavoro ha coinvolto 23 bambini venuti al mondo nello stato brasiliano di Pernambuco tra luglio e dicembre 2015; tutti, eccetto uno, sono nati da madri che avevano manifestato uno sfogo cutaneo durante la gravidanza, compatibile con l'infezione da Zika virus. Per tutti i bambini era giunta la diagnosi di microcefalia o di disproporzione cranio-facciale.

Le scansioni hanno rivelato che la maggior parte dei bambini presentava severi danni cerebrali, associati ad una funzione neurologica ridotta, con segni di calcificazione cerebrale, condizione nella quale il calcio si sviluppa nel cervello: l'ipotesi dei ricercatori è che il virus Zika distrugga i neuroni formando delle lesioni, simili a delle ferite nelle quali si formano degli anomali depositi di calcio.

Purtroppo anche questa è soltanto un'ipotesi: ma magari è un altro passo avanti nell'individuazione di quello che maggiormente interessa gli scienziati, ossia il meccanismo di azione di quello che sembra ormai essere un riconosciuto nesso di causa-effetto.

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