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Lo scienziato che ha visto il paradiso

Fa discutere la dichiarazione di un neurochirurgo riguardo una sua presunta esperienza di pre-morte che testimonierebbe l’esistenza dell’aldilà.
A cura di Roberto Paura
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“Heaven is Real”, il paradiso esiste. Così titolava la copertina dello scorso numero del settimanale americano Newsweek, un’affermazione certo non di quelle che si sentono tutti i giorni, soprattutto se stampate a caratteri cubitali su una rivista di grande notorietà. Eben Alexander, neurologo della Medical School di Harvard, racconta così in esclusiva la sua presunta esperienza di pre-morte, le cosiddetta NDE (“Neart-Death Experiences”), narrata più in dettaglio in un libro di imminente uscita, Proof of Heaven: A Neurosurgeon’s Journey into the Afterlife (“La prova del paradiso: viaggio di un neurochirurgo nell’aldilà”). Di NDE se ne sente parlare da anni, nello scetticismo generale degli esperti che definiscono queste esperienze niente più che mere illusioni. Loro, quelli che le hanno vissute, giurano trattarsi di autentici viaggi nell’aldilà, di solito raccontato come un luogo di luce raggiunto dopo un percorso all’interno di un lungo tunnel buio. Ora per la prima volta uno scienziato di indubbia professionalità riporterebbe la stessa esperienza.

Il paradiso di Eben Alexander

Cosa ha visto Eben Alexander? “Nell’autunno del 2008, dopo sette giorni di coma durante il quale la parte umana del mio cervello, la neocorteccia, era inattiva, ho sperimentato qualcosa di così profondo da darmi una ragione scientifica per credere nella vita dopo la morte”. Figlio di un neurologo, con 25 anni di esperienza alle spalle, un solido background e una fede cristiana definita non troppo praticante, Eben Alexander sostiene di non aver mai creduto fino ad allora nei racconti di NDE. Svegliatosi un giorno con un profondo mal di testa, nel giro di poche ore venne ricoverato in un ospedale della Virginia per una rara forma di meningite, con poche speranze di sopravvivere in una forma diversa da quella vegetativa. Dopo sette giorni di coma profondo, il risveglio.

“ Ho sperimentato qualcosa di così profondo da darmi una ragione scientifica per credere nella vita dopo la morte. ”
Eben Alexander
Ma in quel breve periodo senza alcun segnale cerebrale, Alexander sostiene di aver viaggiato in un’altra dimensione, apparentemente vivida e reale, che lo avrebbe spinto a credere nella possibilità di conservare la coscienza e la consapevolezza di sé anche dopo la morte. Alexander sostiene che i racconti di NDE sono solitamente definiti come illusioni prodotte dal malfunzionamento della neocorteccia. Tuttavia, nel suo caso i rapporti clinici testimoniano che l’attività di quell’area del suo cervello era inesistente per tutto il periodo del coma. La descrizione dell’aldilà è estremamente simile a quella del paradiso della tradizione cristiana: nuvole, un cielo azzurro, esseri volanti simili ad angeli e un canto glorioso proveniente dal cielo. Tra farfalle svolazzanti e paesaggi incantevoli, Alexander incontra una donna bellissima che gli parla senza proferire verbo, assicurandogli che ciò che vede è reale. L’uomo avverte dunque la sensazione di essere amato incondizionatamente e profondamente.

La scienza e le NDE

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Dopo essere ritornato nel “nostro” mondo, Eben Alexander si è ripreso completamente, ha abbandonato la sua professione e ha deciso di dedicare il resto della sua vita a comprendere ciò che ha vissuto in quei sette giorni di coma. Un racconto che ha lasciato stupefatti i colleghi e la comunità scientifica, che ha raccolto la storia con scetticismo. Innanzitutto, lascia perplessi la descrizione del neurochirurgo. È noto infatti che persone di culture e religioni diverse descrivono le NDE in modo diverso, a seconda di come l’aldilà sia descritto nelle loro rispettive culture e religioni. L’esperienza di Alexander sembra provenire esattamente dalla rappresentazione canonica del paradiso cristiano. I giapponesi, invece, per dirne una, raccontano nelle loro NDE di trovarsi in un giardino simile a quelli zen.

In generale, i neuroscienziati ci vanno cauti su quello che sappiamo dell’attività cerebrale oltre quello che appare con le tecniche di neuroimaging. Non è detto, cioè, che il cervello sia spento se le risonanze e gli scanner cerebrali non mostrano alcuna attività. Sappiamo che la mente è una cosa diversa dal cervello, qualcosa di diverso dalla somma dei singoli neuroni. È possibile che, anche se la corteccia cerebrale non producesse segnali, la coscienza di Alexander fosse in qualche modo attiva e cercasse di spiegare la propria singolare situazione – assenza di segnali dall’esterno, nessuno stimolo sensoriale – attraverso un’interpretazione proveniente dalla cultura cristiana del neurochirurgo. La tipica esperienza di vedere il proprio corpo dal di fuori, riportata in molti resoconti di NDE, non sarebbe inoltre molto diversa da quella che molte persone vivono in momenti di de-realizzazione, che capitano in periodi di forte stress o di fronte a uno shock che il nostro cervello fatica ad assimilare. Per esempio, quando ci troviamo a vivere una situazione di immediato pericolo di vita o apprendiamo della morte di un nostro caro, ci sembra che la vita che stiamo vivendo non sia la nostra e di assistere all’evolversi degli eventi nei panni di un osservatore esterno. È il modo in cui reagiamo a una situazione inaccettabile, come certo è la consapevolezza di essere in coma o di stare per morire.

Il cervello di fronte alla morte

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Un infarto, con conseguente riduzione dell’apporto di ossigeno al cervello, è inoltre alla base – secondo i neuroscienziati – delle tipiche visioni simili a un tunnel buio al cui termine appare una fioca luce. Nient’altro che l’effetto di un rapido offuscamento della vista che porta a ridurre il campo visivo della persona colta da infarto. Adrenalina, steroidi, epinefrina e altri ormoni vengono rilasciati nel cervello in prossimità di situazioni di imminente pericolo di vita. Il nostro organismo reagisce al pericolo aumentando il rilascio di neurotrasmettitori che potrebbero essere alla base di quella sensazione di “euforia” che i testimoni di NDE raccontano sovente nelle loro ricostruzioni. Studi neurologici hanno infine dimostrato che nella parte più primitiva del nostro cervello le aree connesse con la memoria a lungo termine e con la reazione istintuale a un pericolo mortale sono molto vicine. Di fronte alla consapevolezza di una morte imminente, il cervello attiva al massimo quelle aree, scatenando anche l’emergere di ricordi a lungo termine. Sarebbe questa la ragione del perché alcune persone scampate da morte certa raccontano di aver vissuto flashback della loro vita, o del perché nelle storie di NDE ci si imbatta spesso in persone care morte da tempo.

Le spiegazioni scientifiche che riconducono le esperienze di pre-morte a cause naturali e per nulla soprannaturali sono dunque numerose. Perché allora uno scienziato, un neurochirurgo, ha finito per convincersi della realtà della propria esperienza, dell’effettiva esistenza di un aldilà? Le spiegazioni potrebbero essere tante. Senza prendere in considerazione quelle più banali – il desiderio di arricchirsi pubblicando un volume di sicuro successo in un paese, gli USA, in cui il 3% della popolazione ha dichiarato di aver vissuto NDE – non è difficile rendersi conto che esiste un desiderio naturale di credere nell’esistenza di una vita dopo la morte, che potrebbe portare anche le persone più razionali a convincersi della verità di ciò che hanno creduto di vedere. Eben Alexander ha davvero visto il paradiso? La scienza non potrà mai dimostrare o smentire l’esistenza di un aldilà, ma studiando ciò che avviene nel cervello di persone in coma potremo saperne di più su quello che davvero succede nella nostra mente.

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