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La Zona Morta del Golfo del Messico è fuori controllo: tonnellate di fertilizzante in mare

Attraverso le ultime misurazioni, il NOAA ha confermato che la “Zona Morta” nel Golfo del Messico ha raggiunto le sue dimensioni massime da quando viene monitorata. Ora copre una superficie di 13mila chilometri quadrati.
A cura di Andrea Centini
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Alcune settimane addietro la National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) americana, ovvero l'agenzia federale che si occupa di meteorologia e oceani, aveva indicato che la “Zona Morta” (Dead Zone) nel Golfo del Messico quest'anno avrebbe avuto una delle estensioni maggiori mai misurate. In queste ore è arrivata la drammatica conferma che essa si estende per ben 13mila chilometri quadrati, una superficie di poco inferiore a quella della Calabria, ed è la più grande mai misurata dal 1985, ovvero da quando il golfo viene monitorato dalle navi da ricerca scientifica.

L'estensione della zona morta: credit NOAA
L'estensione della zona morta: credit NOAA

Per zona morta si intende un'area di mare nella quale la scarsa concentrazione di ossigeno, un'ipossia legata a livelli inferiori ai due milligrammi per litro, non permette in pratica l'esistenza della vita, perlomeno di quella naturale dell'habitat, con i pesci e il resto della fauna marina costretti a fuggire o a morire. Chi vi sopravvive sono invece immense colonie di batteri e alghe, molte delle quali in putrefazione e marcescenti, la cui biomassa sottrae il prezioso elemento vitale per le altre specie viventi. Il risultato è un sorta di deserto subacqueo, spesso tinto di rosso, nel quale dominano morte e desolazione.

Quella del Golfo del Messico è la zona morta più grande della Terra, ma la sua dimensione media calcolata si aggirava sugli 8mila chilometri quadrati. Quest'anno invece è stata registrata una considerevole espansione, è il responsabile è sempre lo stesso: l'essere umano. Le grandi industrie della carne degli Stati Uniti, infatti, riversano tonnellate e tonnellate di fertilizzanti nei fiumi, derivanti dalle colture di soia e mais per alimentare il bestiame, e il grande Mississippi è diventato un vero e proprio flusso di veleno costante verso il Golfo del Messico. Il deposito continuo e incontrollato degli sversamenti e delle acque reflue, ricchissime di nitrati, favoriscono la proliferazione di alghe e batteri e fanno fuggire i pesci. Tra gli effetti collaterali della zona morta vi è anche una sensibile riduzione nella capacità riproduttiva degli organismi marini, con drammatiche conseguenze per l'industria ittica. Quella che ne sta pagando le maggiori conseguenze è quella dei gamberetti, con prezzi schizzati alle stalle a causa delle difficoltà a reperire la materia prima.

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