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L’acqua potrebbe essere il carburante del futuro grazie a questi nuovi materiali

Utilizzando acqua, luce solare e anidride carbonica è possibile generare i cosiddetti combustibili solari, ma per finalizzare il processo sono necessari dei catalizzatori o fotoanodi. In due anni ne sono stati scoperti altri dodici, avvicinando sempre più la creazione di una fonte di energia rinnovabile, pulita e potenzialmente illimitata.
A cura di Andrea Centini
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Un team di ricercatori del Lawrence Berkeley National Laboratory e del California Institute of Technology (Caltech) in due soli anni ha raddoppiato il numero di materiali utilizzabili per generare i cosiddetti ‘combustibili solari' basati sull'acqua, una forma di energia pulita e rinnovabile che potrebbe definitivamente sostituire carbone, petrolio e altri combustibili fossili. La produzione commerciale di tali fonti di energia è ancora oggi considerata un vero e proprio sogno ecologico, tuttavia, grazie ai nuovi materiali scoperti dagli scienziati americani, esso è sempre più vicino a diventare realtà. I combustibili solari determinerebbero una svolta epocale soprattutto sotto il profilo della tutela ambientale e della salute pubblica; ma come funzionano esattamente?

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I combustibili solari vengono prodotti utilizzando la luce del sole, l'anidride carbonica e l'acqua, con quest'ultima che gioca il ruolo chiave dell'intero processo; tutto infatti ruota attorno alla sua formula molecolare (H2O), con i due atomi di idrogeno che debbono essere estratti attraverso una reazione elettrolitica, per produrre un gas altamente infiammabile. Gli atomi di idrogeno possono inoltre essere combinati con l'anidride carbonica per generare i cosiddetti idrocarburi, composti organici che contengono solo carbonio e idrogeno.

Per eseguire il processo della scissione degli atomi di idrogeno non sono sufficienti i raggi solari, ma sono necessari dei catalizzatori o fotoanodi, esattamente i nuovi materiali scoperti dai ricercatori. In circa quaranta anni erano stati trovati solo sedici fotoanodi, un numero che è salito a ventotto solo negli ultimi due anni, dopo aver analizzato circa 180 composti papabili, tutti metalli vanadati (con ossigeno, vanadio e altri elementi). L'impresa è stata possibile non solo attraverso il normale lavoro sperimentale, ma anche sfruttando avanzatissime simulazioni al computer, che hanno fornito un'accelerazione senza precedenti a tutto il progetto. “Combinando teoria e potenza computazionale abbiamo generato conoscenze scientifiche a un ritmo senza precedenti”, ha sottolineato il professor John Gregoire, uno degli autori dello studio. I dettagli della promettente ricerca sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Proceedings of National Academy of Sciences.

[Foto di Caltech]

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