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Il magnetismo cosmico spiegato da una galassia a 5 miliardi di anni luce da noi

Sfruttando il fenomeno della lente gravitazionale astrofisici tedeschi sono riusciti a calcolare il campo magnetico di una galassia lontana 5 miliardi di anni luce. I suoi valori sono simili a quelli del magnetismo della Via Lattea.
A cura di Andrea Centini
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Ricercatori del Max Planck Institute per la Radio Astronomia di Bonn, Germania, hanno misurato il campo magnetico di una galassia distante 5 miliardi di anni luce dalla nostra Via Lattea. Si tratta del più lontano mai “osservato” sino ad oggi, e poiché la galassia in questione è più giovane di 5 miliardi di anni rispetto a quella in cui ci troviamo noi, gli scienziati hanno potuto ottenere nuove informazioni sull'evoluzione del magnetismo cosmico, la cui origine resta tuttavia sconosciuta.

Il dettaglio fondamentale rilevato dagli studiosi, coordinati dalla professoressa Sui Ann Mao del Gruppo di Ricerca Minerva, risiede nel fatto che il campo magnetico della galassia risulti essere molto debole e sovrapponibile a quello della Via Lattea. Sino ad oggi si riteneva che i campi magnetici delle galassie avessero una sorta di sviluppo progressivo, originando in modo debolissimo per poi rafforzarsi nel corso del tempo. Tuttavia, i dati raccolti dai ricercatori tedeschi suggeriscono che non vi sarebbe alcuna differenza tra galassie giovani e antiche, dunque l'origine del campo magnetico deve essere molto precoce così come la sua stabilità.

Il campo magnetico di una galassia è un milione di volte più debole rispetto a quello del nostro pianeta, ma non per questo meno importante, dato che praticamente ogni oggetto celeste ne è permeato. Per calcolare quello della lontanissima galassia i ricercatori hanno sfruttato il cosiddetto fenomeno della lente gravitazionale, che recentemente ha permesso a un team di astrofisici dello Space Telescope Science Institute (Stsci) di Baltimora di “pesare” per la prima volta una stella, attraverso un sistema predetto dal Albert Einstein cento anni fa.

Il campo magnetico, infatti, non può essere misurato direttamente, e per una galassia così lontana Mao e colleghi hanno dovuto sfruttare la luce emessa da un quasar allineato, grazie alla quale, attraverso un effetto noto col nome di “rotazione di Faraday”, è stato possibile calcolare l'impronta magnetica rilasciata dal corpo galattico. Per ottenere questo straordinario risultato i ricercatori si sono avvalsi del radiotelescopio G. Karl Jansky Very Large Array nel deserto del Nuovo Messico. I dettagli dello studio sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica Nature Astronomy.

[Foto di Wikilmages]

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