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Il 2012 dei Maya? C’è già stato, circa un millennio fa

Complice della scomparsa della popolazione precolombiana il cambiamento climatico e i gravi conflitti che ne derivarono: lo studio su Science.
A cura di Nadia Vitali
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profezia apocalisse

Nonostante le prove archeologiche e il più che autorevole parere di esperti e studiosi della civiltà Maya abbiano più volte chiarito che nessuna fine del mondo imminente sarebbe stata prevista dal calendario della popolazione precolombiana, gli annunci apocalittici relativi alla tanto discussa “profezia” continuano ad avere un discreto successo. Eppure sarebbe assai curioso immaginare che i Maya, addirittura in grado di prevedere un disastro così lontano nel tempo come quello di dicembre 2012, non sarebbero stati in grado di immaginare il declino ben più significativo che coinvolse la loro civiltà, portandola alla sparizione completa diversi secoli prima che gli europei giungessero oltreoceano.

Un declino che non giunse “dalle stelle” o da qualche misterioso avvenimento incontrollabile ma da un cambiamento climatico che si intrecciò con il destino di questo popolo segnandone lo sviluppo, la ricchezza e la fine, come spiegato da uno studio pubblicato da Science a cui ha lavorato un gruppo internazionale di archeologi guidato da Douglas Kenneth del dipartimento di antropologia della Pennsylvania State University. Partendo dall’analisi della quantità di precipitazioni che interessarono le regioni abitate dai Maya nel corso della loro storia, i ricercatori sono riusciti a ricostruire gli splendori e le miserie di queste genti, elaborando una sorta di mappa del tempo in cui i fenomeni meteorologici sono di primo piano poiché collegati naturalmente alla ricchezza del territorio. Il singolare “strumento” utilizzato per conoscere i dati relativi alle piogge nei secoli è stato la grotta di Yok Balum, nel Belize, e gli esami effettuati sui campioni delle stalagmiti che, da millenni, sono celate al suo interno.

Gli studiosi hanno così potuto leggere una sorta di storia scritta nella roccia che racconta di un insolito incremento delle precipitazioni tra il 440 e il 660 d. C. nell'area, che avrebbe portato all’espandersi della popolazione e alla proliferazione dei centri politici e religiosi le cui le maestose testimonianze architettoniche, a tutt'oggi, hanno il potere di lasciare ancora stupefatti. La terra divenne più fertile, le risorse alimentari erano ricche e, al contempo, progrediva l’organizzazione sociale ma anche militare della civiltà: le iscrizioni lasciate dai Maya sono in grado di fornire una lettura più chiara degli eventi meteorologici e dei loro effetti. Difatti quando tra il 660 e il 1000 il clima divenne meno generoso e, quindi, la terra più povera, la situazione politica divenne fortemente instabile e i conflitti iniziarono a prevalere, come narra la stessa storia dei Maya: l’impoverimento generale innescò guerre intestine per il contendersi delle, ormai, scarse risorse.

Fino a quel collasso che giunse quando, ormai, nell’XI secolo la fine delle grandi piogge decretò la sparizione di questo popolo che abbandonò le magnifiche città, vestigia di un passato ormai dimenticato e sepolto sotto le armi. Ecco, probabilmente, se c’è una profezia che i Maya ci hanno lasciato è proprio questa: dinanzi ai segnali che invia il Pianeta, siano essi frutto della mano dell’uomo o della natura, bisognerebbe sempre essere pronti all’ascolto e non "alla corsa" per accapparrarsi le ultime briciole. Almeno in linea teorica, oggi, abbiamo gli strumenti per evitare il ripetersi della storia.

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