Dopo la morte? Iberno il mio corpo aspettando tempi migliori
Kim Suozzi è una giovane e bella ragazza di 23 anni con un tumore al cervello e un’aspettativa di vita che non supera, nel migliore dei casi, i sei mesi. Qualche settimana fa, su un forum on-line, ha reso noto il suo desiderio di ibernare il proprio cervello, nell’attesa che la scienza e la tecnologia del futuro possano trovare una soluzione al suo problema e curarlo, permettendole di tornare a vivere. Kim sa di non aver chiesto una cosa semplice. Innanzitutto per il costo che la procedura richiede: 35.000 dollari. Lei non li ha, ma una serie ingente di donazioni private potrebbe presto risolvere quest’ostacolo. C’è poi il problema della fede: la famiglia di Kim, cristiana, non crede si tratti di una buona idea, perché dopo la morte non c’è che l’aldilà e non è possibile “tornare indietro”; Kim però ha replicato ai suoi genitori di essere agnostica e di voler tentare a prescindere dalle convinzioni religiose della sua famiglia. Infine, c’è il problema della possibilità di riuscita. Ed è il problema principale: finora non è mai stato dimostrato che la criogenia – o ibernazione – possa davvero conservare intatto un corpo umano, consentendo dopo lo “scongelamento” di riprendere le proprie funzioni vitali. Soprattutto, poiché per legge la criogenia va applicata solo dopo la morte, bisognerebbe sperare che in futuro la scienza possa non solo risolvere malattie come il tumore al cervello, ma anche far tornare in vita i morti. O qualcosa di molto simile.
Lo stato dell'arte della criogenia
A Kim Suozzi è andata anche bene. Il costo, 35.000 dollari, non è tra i più alti nel settore, e un gruppo di entusiasti della criogenia, la “Society for Venturism”, ha avviato una campagna di raccolta fondi per coprire l’intera cifra, raccogliendo finora 27.000 dollari, di cui diecimila provenienti dalla “Life Extension Foundation”, una delle più importanti e storiche istituzioni americane impegnate nella ricerca a favore delle tecniche di ibernazione e della lotta per l’immortalità. I prezzi infatti possono arrivare fino a 250.00 dollari, e oltre, per conservare l’intero corpo, come chiede Alcor, che dagli anni ’70 a oggi ha ibernato 112 persone ed è senza dubbio la principale fondazione privata in questo campo. Oltre al costo per l’ibernazione vera e propria, Alcor chiede anche una quota annuale di iscrizione di 500 dollari per coloro che si associano con l’intenzione di far ibernare il proprio corpo.
A oggi in tutto il mondo sono note circa 250 persone ibernate. Dopo Alcor, la seconda istituzione di maggior successo è il Cryonics Institute, nel Michigan, che conserva 103 pazienti ibernati. Non è noto invece quanti siano gli animali domestici sottoposti a conservazione criogenica. Non è difficile capire perché il mercato sia dominato da così poche realtà. Sono infatti necessari protocolli stringenti. L’istituzione che mette a disposizione la tecnologia e la conservazione deve, da parte sua, garantire la possibilità di conservare il corpo – o il cervello – per molto tempo, quanto necessario affinché la scienza si evolva fino a trovare il modo di riportare in vita i propri pazienti. Inoltre, poiché per legge non è possibile effettuare il processo criogenico prima della morte, è necessario attendere la morte biologica e intervenire immediatamente dopo, già al capezzale del defunto, per evitare che si avvii il processo di decomposizione. Il corpo va ibernato quando ancora tutte le funzioni vitali periferiche sono attive, e solo il cuore ha smesso di battere.
Il successo crescente dell'ibernazione
Dalla prima fondazione nata con lo scopo di trasformare l’idea fantascientifica dell’ibernazione in realtà, nel 1964 (la già citata Life Extension Society), nel corso degli anni sono nate decine e decine di aziende e istituzioni private, principalmente negli Stati Uniti. La prima persona sottoposta al processo di ibernazione fu James Bedford, professore di psicologia, nel 1967, attualmente conservato in ottimo stato (almeno apparentemente) alla Alcor. Il successo di questa società, che oggi vanta il maggior numero di “pazienti” al mondo, dipende dallo sviluppo di un protocollo medico per la criogenia imitato da tutte le altre aziende nate successivamente, e noto come “standby”, perché avvia le procedure entro un minuto o poco più dalla dichiarazione legale di decesso del paziente. A partire dagli anni ’90, inoltre, Alcor ha iniziato a sperimentare una tecnica nota come “vetrificazione”, che attraverso l’impiego di alcune sostanze impedisce il congelamento vero e proprio, bloccando la formazione di ghiaccio negli organi, e aumenta la viscosità degli agenti criogenici. Dopo alcuni test di successo applicati ai soli cervelli, dal 2005 Alcor ha esteso la tecnica all’intero corpo dei pazienti.
Gli scienziati sono tuttora divisi sull’effettiva possibilità di successo dell’ibernazione. Finora nessuno dei pazienti è mai stato “scongelato”. È ovvio, perché la medicina è ancora lontana dal poter garantire il loro ritorno in vita. Ma è anche vero che, negli ultimi anni, sempre più esperti hanno cominciato a sostenere l’ipotesi criogenica, con l’evolversi delle tecniche di ibernazione e soprattutto con il progredire della ricerca nel campo dell’estensione della speranza di vita umana. Kim Suozzi ha coniato un motto per la sua campagna a favore dell’ibernazione: “Live again or die trying”: vivi di nuovo, o muovi provandoci. Suona incoraggiante?