Criopreservazione, speranze per trapianti: ‘scongelati’ con successo i primi tessuti umani
Ricercatori dell'Università del Minnesota hanno sviluppato una tecnica all'avanguardia per riscaldare i tessuti crioconservati senza provocare danni e renderli inutilizzabili, aggirando uno dei più grandi ostacoli nella filiera del trapianto d'organi. Si tratta del primo passo di una ricerca che potrebbe abbattere per sempre, nel giro di due o tre anni, le liste d'attesa di chi è appeso tra la vita e la morte mentre attende un nuovo organo. Basti pensare che ogni giorno nei soli Stati Uniti d'America muoiono ben ventidue persone inserite nelle suddette liste, e ciò non è dovuto alla carenza di organi, ma alle distanze che rendono inconciliabili i tempi di conservazione dei tessuti “freschi” e quelli necessari per arrivare in sala operatoria per l'intervento. Gli organi, infatti, dopo il prelievo possono essere mantenuti nel ghiaccio al massimo dalle due alle quattro ore, prima di deteriorarsi inesorabilmente, per questa ragione oltre il 60 percento dei tessuti validi per un trapianto viene purtroppo gettato.
Il problema della conservazione in realtà sarebbe già stato superato, dato che con la cosiddetta vetrificazione, ottenibile a – 160° centigradi, i tessuti possono essere conservati per anni; il vero ostacolo è rappresentato dal passo successivo, ovvero dallo scongelamento, che a causa dei cristalli infiltrati nei tessuti ne danneggiano irrimediabilmente struttura e funzionalità. I ricercatori del Minnesota, coordinati dal professor John Bischof sono riusciti a superare il problema del deterioramento sfruttando nanoparticelle di ossido di silice anziché la convezione per scongelare i tessuti, nel caso specifico sia umani che di maiale.
Diluite in una soluzione, le nanoparticelle possono essere riscaldate uniformemente e rapidamente applicando un semplice campo magnetico, per poi essere eliminate a operazione conclusa. Gli studiosi hanno ottenuto risultati efficaci con tessuti fino a 50 mL di volume, e poiché la tecnica è scalabile sono convinti di poter arrivare sino a un litro di volume. Al momento, tuttavia, le nano particelle hanno funzionato solo con tessuti ‘semplici' e non con interi organi, che sono composti da più strati e rappresentano una sfida aggiuntiva per lo scongelamento uniforme. Bischof spiega che la soluzione potrebbe essere trovata iniettando le nanoparticelle direttamente nell'organo da scongelare, ma si aprono altri scenari che dovranno essere studiati con appositi esperimenti. I dettagli dello studio sono stati pubblicati su Science Translational Medicine.
[Immagine di Università del Minnesota]