Coscienza dopo la morte: il primo studio che indaga su cosa accade “nell’aldilà”
Esperienze extracorporee (out of body experiences, OBEs) o ai confini della morte (near-death experiences, NDEs): la storia dell’umanità ha registrato molti racconti relativi a questo impalpabile mondo, del quale nulla conosciamo e molto vorremmo sapere. Luci in fondo al tunnel, anime che si innalzano al di sopra del proprio corpo, fino ai più tradizionali cieli con le nuvole: fenomeni spesso considerati frutto di allucinazioni o di illusioni e che, in virtù di ciò, raramente sono stati oggetto di studio. Certo, in anni recenti c’è stato anche il caso di un neurochirurgo americano che, dalla sua esperienza pre-morte, avrebbe evinto che l’aldilà esiste e si presenta anche molto simile a come lo immaginiamo, per tanti aspetti. Ma questo non sembrava sufficiente a spostare l’attenzione della scienza sul tema: ragionevolmente, d’altronde, dato che è logico pensare come la suggestione giochi un ruolo fondamentale in questi casi.
Uno studio difficile
Tuttavia, la britannica University of Southampton ha deciso di fare un tentativo in questa direzione, dando il via nel 2008 ad uno studio su ampia scala che ha coinvolto 2060 pazienti di 15 ospedali distribuiti tra USA, Regno Unito ed Austria: 140 di questi sono sopravvissuti all'arresto cardiaco. Obiettivo dei ricercatori era l’esame di tutto l’ampia gamma di esperienze mentali in relazione alla morte, cercando di discernere, dai racconti degli interessati, cosa appariva chiaramente come una mera allucinazione e cosa poteva sembrare più simile ad un’esperienza pre-morte. Lo studio, pubblicato dal giornale Resuscitation , avrebbe evidenziato, in primo luogo, come tali fenomeni appaiano ancora molto lontani dalla comprensione, da come li immaginiamo e anche da come sono stati descritti in molte NDEs.
Ricordi confusi di coscienza post-mortem
I ricercatori avrebbero inoltre concluso che, in alcuni casi di arresto cardiaco, i ricordi visivi di chi aveva esperito l’OBE coincidevano con eventi reali. In buona sostanza, l’indagine avrebbe portato alla luce le esperienze di un numero relativamente alto di persone: tra queste, tuttavia, molte non erano in grado di richiamarle alla memoria con accuratezza, forse a causa dell’effetto di sedativi e farmaci o di qualche trauma sui circuiti neuronali. L’auspicio, quindi, sarebbe quello di uno studio più preciso e dettagliato: il quale, tuttavia, dovrebbe essere portato avanti in maniera del tutto scevra da pregiudizi. E non è affatto facile. Del resto, altrettanto complesso risulta distinguere tra suggestione e realtà, nel parlare di un tema tanto delicato quanto scientificamente non ancora esplorabile.
Il 39% dei pazienti sopravvissuti ad un arresto cardiaco, i quali erano in grado di rispondere ad un’intervista strutturata, ha descritto di aver vissuto una sorta di percezione di coscienza post-mortem: tuttavia più difficile era per loro avere una memoria di questi eventi. Secondo il Dottor Sam Parnia, della State University of New York e ricercatore onorario presso l’università di Southampton quando lo studio è iniziato, questo sembrerebbe suggerire che in diverse persone l’attività mentale inizialmente sarebbe ancora presente; ma ricordarne qualcosa dopo la guarigione appariva impossibile, probabilmente per cause legate proprio al trattamento medico subito. In ogni caso, tra coloro i quali serbavano memorie labili della propria morte prima della rianimazione andata a buon fine, un 46% ha comunque riferito di esperienze molto diverse da quelle normalmente indicate come NDE, con una serie di ricordi classificati dagli scienziati in precise categorie cognitive: paura, animali o piante, luce intensa, violenza o persecuzione, deja vu, famiglia. Soltanto il 9% ricordava esperienze compatibili con quelle ai confini della morte comunemente intese, mentre il 2% riferiva di aver vissuto vere e proprie esperienze extra corporee con ricordi espliciti e chiari di cose viste e sentite.
Oltre i confini della conoscenza?
In buona sostanza, le esperienze osservate e raccolte nei racconti dai ricercatori avrebbero fatto emergere un mondo estremamente variegato di sensazioni ed immagini, spesso impalpabili, non riassumibile in quel 2% di esperienze. Queste conclusioni andrebbero a supportare studi precedentemente condotti che avrebbero già indicato come la coscienza possa essere presente nonostante sia clinicamente non rintracciabile. Ma si tratta soltanto di una scintilla in un mondo oscuro: ben altro sarà necessario per squarciare quel buio profondo, ammesso che un giorno l'essere umano sarà in grado di farlo.