1947, accadde a Roswell: l’ufologia compie 65 anni
Doveva essere un luglio ancora più caldo di quello che stiamo vivendo in questi giorni, a Roswell, New Mexico, USA, sessantacinque anni fa. Un mese prima, sui giornali americani si era cominciato a parlare dei flying saucers, i “dischi volanti” che un imprenditore di nome Kenneth Arnold, volando a bordo del suo monoposto privato, aveva scorto sul ciglio del monte Rainier, nello stato di Washington. Nemmeno il tempo di studiare più a fondo la cosa che i dischi volanti entrano di forza nell’immaginario contemporaneo, quando uno di questi sembra si schianti in un ranch poco fuori Roswell. Lo sceriffo della contea accorre sul luogo e quello che vede lo convince, insieme al proprietario del ranch, a chiamare l’Aeronautica Militare. I rottami dell’oggetto volante non identificato vengono prelevati e un avventato tenente della Roswell Army Air Field dichiara alla stampa: “Da ieri le tante voci sui dischi volanti sono diventate realtà”.
Ufologia e complottismo
Non passano che poche ore prima che il generale Roger Ramey dell’aeronautica del Texas smentisca tutto: quello che è stato ritrovato a Roswell è ciò che resta di un pallone sonda e del suo riflettore radar. Niente dischi volanti, tantomeno corpi di presunti occupanti alieni. Ma in molti non ci stanno: sostengono che le autorità stiamo coprendo il ritrovamento per non scatenare il panico tra la popolazione, e anche perché nemmeno loro sanno che pesci prendere. Man mano si diffonde la convinzione che il governo americano sappia tutto sugli alieni, e abbia contatti con loro, con chissà quali scopi. Si moltiplicano le voci di presunti “uomini in nero” (men in black) che appaiono dal nulla per zittire eventuali testimoni di incontri ravvicinati del terzo tipo con extraterrestri. In breve, nel 1947 nasce l’ufologia.
Oggi Roswell è una città che campa principalmente grazie al turismo di massa degli appassionati di ufologia che si recano qui in pellegrinaggio, provenienti magari dall’altro sito-cult, l’Area 51, nel deserto del Nevada, circa 1000 chilometri a nord-ovest, dove leggenda vuole che siano custoditi i resti del disco di Roswell. E soprattutto, i corpi degli alieni che si schiantarono sulla Terra. Gli stessi corpi che il filmato di un’autopsia diffuso nei primi anni ’90 mostrò con immagini che fecero il giro del mondo, prima che i tanti dettagli fuori posto (telefoni moderni e altre attrezzature non ancora esistenti negli anni ’40 immortalate nei fotogrammi) convincessero l’autore del filmato – il produttore inglese Ray Santilli – a confessare la bufala.
L'ufologia, la scienza e la domanda di Fermi
Oggi, dopo 65 anni da quegli eventi, l’ufologia non è riuscita ancora a produrre una prova definitiva dell’esistenza dei “dischi volanti”. Certo, ogni anno ci sono migliaia di casi di avvistamenti, spesso ripresi da videocamere, e di questi almeno una decina restano “insoluti”; certo, migliaia di persone, soprattutto americani, giurano di essere state vittime di rapimenti da parte di alieni; e certo, i più complottisti sono convinti che i governi di mezzo mondo nascondano le prove. La comunità scientifica resta scettica. Quasi tutti gli scienziati sono disposti ad ammettere la possibilità che nell’universo esistano altre forme di vita e presumibilmente civiltà intelligenti. Il celebre scrittore di fantascienza e divulgatore scientifico Isaac Asimov calcolò ottimisticamente circa 530.000 pianeti nella galassia su cui attualmente sarebbe in essere una civiltà tecnologica. E le nuove scoperte in termini di diffusione di pianeti simili alla Terra e condizioni adatte alla vita non fanno che corroborare questo calcolo.
L’astronomo americano J. Allen Hynek fu forse lo scienziato che più di tutti si impegnò a studiare il problema degli UFO da un punto di vista scientifico. Fu consulente scientifico di numerose commissioni d’inchiesta istituite per far luce sugli oggetti volanti non identificati, e se dapprima si limitò a bollare il tutto come l’effetto di allucinazioni di massa, gradualmente si dimostrò più cautamente possibilista sull’ipotesi extraterrestre. Nel 1973 fondò il primo centro di studi ufologici con un approccio scientifico al problema, ma proprio per la continua mancanza di prove empiriche decisive finì per prendere sempre più le distanze dagli ufologi: “A me sembra ridicolo che intelligenze superiori viaggino per lunghissime distanze siderali per fare cose relativamente stupide come fermare le macchine, raccogliere campioni di terreno, e spaventare la gente”, sentenziò pochi anni prima della sua morte.
Eppure, alla fine degli anni ’40 molti importanti fisici si dedicarono al problema degli UFO. Soprattutto fisici nucleari. Non era forse sospetto il fatto che i dischi volanti si fossero fatti vivi proprio all’indomani delle prime esplosioni atomiche? Forse gli alieni, ragionavano alcuni esperti di Los Alamos, dove le prime bombe erano state fabbricate, avevano captato il segnale delle esplosioni e si erano affacciati per vedere meglio cosa stava succedendo sulla Terra? Nel febbraio 1949 a Los Alamos per due giorni diversi esperti di fisica, tra cui Edward Teller, l’inventore della bomba H, si riunirono per cercare di chiarire cosa fossero quelle strane luci verdi apparse nei dintorni delle basi aeronautiche e dei depositi di armi atomiche nel New Mexico l’anno precedente. Alla fine il tutto fu ricondotto a fenomeni di tipo atmosferico. Ma l’anno successivo, nell’aprile 1950, sempre a Los Alamos, Enrico Fermi durante una pausa pranzo calcolò insieme ad altri colleghi (tra cui lo stesso Teller) che almeno un milione di civiltà extraterrestri potevano permettersi in quel momento una gita turistica sulla Terra. Pose però una domanda rimasta famosa: “Dove sono tutti quanti?”. E nonostante siano passati 65 anni, nessuno è ancora riuscito a rispondergli.