182 CONDIVISIONI

Una dieta ricca di fibre può ridurre la reazione infiammatoria associata a Covid-19

Lo suggeriscono i risultati di alcuni esperimenti di laboratorio con cellule e tessuti intestinali infettati da Sars-Cov-2: “Ridotta l’espressione di un gene che attiva la produzione di citochine pro-infiammatorie e di un recettore che media l’attività antivirale”.
A cura di Valeria Aiello
182 CONDIVISIONI
Tessuto del colon infettato da SARS-CoV-2 e colorato mediante immunofluorescenza per la proteina umana ACE2 (rosso) e per la proteina virale Spike (verde). In blu i nuclei cellulari / Gut Microbe
Tessuto del colon infettato da SARS-CoV-2 e colorato mediante immunofluorescenza per la proteina umana ACE2 (rosso) e per la proteina virale Spike (verde). In blu i nuclei cellulari / Gut Microbe

Una dieta ricca di fibre può ridurre la reazione infiammatoria associata all’infezione da coronavirus Sars-Cov-2. Lo suggeriscono i risultati di alcuni esperimenti di laboratorio condotti presso l’Università di Campinas (UNICAMP) dello stato di San Paolo, in Brasile, dove un team di ricerca ha analizzato come gli acidi grassi a catena corta (SCFA) presenti nelle fibre alimentari possano modificare i meccanismi di risposta a Covid-19. Gli stessi SCFA, d’altra parte, non hanno influenzato la carica virale, sebbene questo non escluda la potenziale azione regolatoria nell’espressione genica e dei recettori responsabili dell’infiammazione.

I test, pubblicati nel dettaglio in uno studio su Gut Microbes, sono stati svolti su cellule epiteliali intestinali e campioni di tessuto del colon infettati con Sars-Cov-2 in laboratorio e poi trattati con una miscela di acetato, propionato e butirrato – composti prodotti dalla metabolizzazione da parte del microbiota intestinale degli SCFA. “La carica virale non è stata ridotta ed è stata la stessa che abbiamo riscontrato nelle cellule e nei tessuti non trattati – ha detto Raquel Franco Leal, docente presso la School of Medical Sciences dell’UNICAMP e co-autore principale dello studio – . Tuttavia, i campioni trattati hanno mostrato una significativa diminuzione nell’espressione del gene DDX58 (un recettore del sistema immunitario innato che rileva gli acidi nucleici virali e attiva una cascata di segnali che si traduce nella produzione di citochine pro-infiammatorie) e di un recettore dell’interferone-lambda che media l’attività antivirale. C’è stata inoltre una diminuzione nell’espressione della proteina TMPRSS2, che è importante per l’ingresso del virus nelle cellule”.

Altri test su campioni di tessuto del colon infettati e non trattati hanno anche mostrato altre alterazioni di geni associati al riconoscimento e alla risposta del virus durante l’infezione, tra cui l’aumento dell’espressione dell’interferone-beta (IFN-beta), una molecola pro-infiammatoria che partecipa alla tempesta di citochine associata a casi gravi di Covid-19. “Questi cambiamenti possono essere rilevanti per l’inizio della catena infiammatoria – ha aggiunto Leal – . In questo contesto, sarà importante approfondire l’analisi degli effetti degli SCFA con questi parametri, poiché questo potrebbe essere significativo nelle fasi gravi della malattia”.

182 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views