Un transistor grande quanto un atomo: più vicino il computer quantistico
Un atomo di fosforo che agisce come un transistor. È l’incredibile risultato della lunga, esaltante strada della miniaturizzazione informatica. Soltanto settant’anni fa, i pochi computer esistenti al mondo occupavano intere stanze, erano fatti di grossi tubi a vuoto e valvole luminose, ticchettavano, ribollivano, e facevano enorme fatica a realizzare le operazioni più semplici. Miracoli della tecnologia dell’epoca, come l’ENIAC, avevano una potenza di calcolo ridicola confrontata agli standard del più scalcinato personal computer di oggi. Gli scrittori di fantascienza immaginavano per il futuro calcolatori sempre più grandi, a volte grandi quanto un mondo intero (per esempio Isaac Asimov, con il suo Multivac, incredibile antesignano di Internet). Nessuno immaginava che nell’arco di pochi decenni una spaventosa potenza di calcolo sarebbe potuta essere compressa in computer trasportabili in una valigetta, a volte sottili più di un libro.
I limiti della miniaturizzazione
La legge di Moore aveva già previsto qualcosa del genere. Attribuita a Gordon Moore, padre dell’Intel, questa “legge” stabilisce che le prestazioni dei computer raddoppiano ogni 18 mesi. Elaborata nella metà degli anni ’60, questa legge era più che altro una profezia. Difatti, il numero di transistor che entrano in un chip che funge da microprocessore raddoppia più o meno ogni due anni. Il ritmo del progresso in questo campo è così veloce che non facciamo in tempo a usare un computer, che subito diventa vecchio rispetto ai nuovi prodotti di mercato. C’è però un limite evidente a tutto questo. Possiamo aggiungere tutti i transistor che volete su un chip, ma se avete un chip troppo grande il tempo di calcolo sarà più lento rispetto a un chip più piccolo, perché l’informazione impiega più tempo per passare da un transistor a un altro. Per questo, la miniaturizzazione è inevitabile. Abbiamo bisogno di chip sempre più piccoli, di modo che i circuiti al loro interno comunichino nel più breve tempo possibile, e dobbiamo allo stesso tempo realizzare circuiti molto più piccoli, affinché ce ne possano entrare il più possibile in un solo chip.
Nel 1958 il primo circuito integrato combinava tre transistor in un unico chip, ma già nel 1971 la Intel introdusse il microprocessore, che racchiudeva in un unico chip tutti i componenti del computer, riuscendo a impacchettare su un chip 2300 transistor. Per realizzare questi lavori di altissima precisione si usa la fotoincisione, che permette di incidere i circuiti su chip sempre più piccoli. Fino a quanto si può andare avanti con la miniaturizzazione? Oggi su un singolo chip più piccolo di un francobollo entrano centinaia di milioni di transistor, e alcuni chip di frontiera sono costituiti anche da due o tre miliardi di transistor. Ma esiste un limite tecnico. I transistor sono realizzati in silicio, che è un semiconduttore; le proprietà fisiche del silicio impongono che un circuito realizzato in questo materiale non possa essere più piccolo di 10 nanometri. Già negli anni ’60 Moore era consapevole di questo problema, e sostenne che lo si sarebbe risolto realizzando circuiti della dimensione di un atomo, di tipo diverso dal silicio. Prevedeva, calcolatrice alla mano, che questo traguardo sarebbe stato raggiunto nel 2020. Pare invece che ci sia voluto un po’ di meno.
Un atomo come transistor
La ricerca pubblicata su Nature è opera di diversi gruppi di ricerca di USA e Corea del Sud, capitanati dall’avanzatissimo Centre for Quantum Computation and Communication Technology dell’Australia. Il risultato del loro lavoro è un transistor grande quanto un atomo di fosforo. Ciò che i ricercatori hanno fatto, per la precisione, consiste nel manipolare sei atomi di silicio e sostituirne uno con un atomo di fosforo sopra una superficie – il chip – costituito appunto di silicio. Gli strumenti per realizzare questo lavoro di precisione sono quasi fantascientifici: i ricercatori hanno impiegato un microscopio a effetto tunnel, che sfrutta proprietà della meccanica quantistica per vedere le superfici degli atomi, con una risoluzione che arriva a ben 0,01 nanometri, e litografia idrogeno-resistente, una tecnica speciale per costruire fisicamente i transistor. Il problema è quello di sostituire al silicio materiali semiconduttori diversi, che possano mantenere le loro proprietà a scale inferiori ai 10 nanometri. L’idea dei ricercatori è quella di usare il silicio come base dei chip, ma di realizzare il transistor in modo diverso. In questo caso, con atomi di fosforo.
Non è in realtà la prima volta che si realizzano transistor più piccoli dell’attuale scala impiegata commercialmente, che è intorno ai 40-35 nanometri. La IBM ne ha realizzati alcuni di grandezza anche inferiore, seppure di poco, in grafene; ma il grafane ha dei limiti rispetto al silicio che lo rende poco adatto a circuiti di tipo digitale (va meglio nei sistemi analogici). E non è nemmeno la prima volta che si realizzano circuiti della grandezza di un atomo. Ma qui siamo un passo avanti. «Questo dispositivo è perfetto», assicura Michelle Simmons, a capo del gruppo di ricerca australiano. «È la prima volta in cui si è mostrata la possibilità di controllare un singolo atomo in un substrato con un tale livello di accuratezza». Ci vorrà comunque molto tempo prima che chip costituiti da transistor atomici possano essere commercializzati. Il fatto è che per funzionare devono essere immersi in temperature vicine allo zero assoluto, per intenderci intorno ai -270°. Non certo una temperatura con cui siamo abituati a operare negli uffici o nelle nostre case. Finché questo problema non verrà risolto, questi chip innovativi potranno essere impiegati solo in computer sperimentali nei grandi centri di ricerca. Ma a poco a poco le nuove scoperte ci avvicinano al computer quantistico.
Verso il computer quantistico
Il computer quantistico rappresenta l’ultima frontiera, il “Santo Graal” dell’informatica. È una tipologia di computer radicalmente diverso da quelli che utilizziamo normalmente, perché l’informazione che manipola si esprime non in bit ma in qubit. I qubit superano la staticità dei bit, che possono assumere solo due stati, lo 0 e l’1 secondo il codice binario. La meccanica quantistica, che è valida a scale subatomiche, sostiene invece che una particolare proprietà può coesistere in diversi stati nello stesso momento. Per esempio, lo spin di un atomo – il suo “senso di rotazione”, che può essere, per dirla semplicemente, verso destra o verso sinistra – non è definito in maniera precisa a meno che non si effettua una misurazione. Se questa misurazione non viene effettuata, l’atomo possiede allo stesso tempo lo spin destrorso e sinistrorso, cioè una sovrapposizione di stati. È come se il bit fosse al contempo 0 e 1. In questo caso, va da sé, l’elaborazione dell’informazione compie un balzo da gigante, e il numero di operazioni al secondo che può realizzare un computer quantistico è tale da permetterci di realizzare cose fantascientifiche: dalla realizzazione di reti di sicurezza inviolabili grazie a sistemi di criptaggio perfetti alla simulazione di interi universi.
Si parla da anni di computer quantistici ma, per la verità, siamo ancora lontani. Non che non ci si stia lavorando, anzi: i centri di ricerca dedicati unicamente a questo problema sono moltissimi e ben finanziati. Il problema è costituito dalle enormi difficoltà pratiche poste dalla realizzazione di un computer quantistico. Lavorare su scale subatomiche non è semplicissimo, poiché come si vede è necessario raggiungere condizioni veramente proibitive – per esempio temperature prossime allo zero assoluto – e soprattutto operare con concetti che i fisici stessi non capiscono perfettamente. Non è ancora chiaro come funzioni la meccanica quantistica. Man mano che gli scienziati e ingegneri cercano di metterla in pratica, scoprono nuovi problemi. Ma il computer quantistico rappresenta una delle sfide del XXI secolo, e un transistor atomico è sicuramente un altro passo importante per la sua realizzazione.