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Nuovo studio italiano conferma: “C’è un nesso tra inquinamento atmosferico e morti di Covid”

L’analisi pubblicata sulla rivista Enviromental Pollution: “Correlazione da moderata a forte tra il numero di giorni che superano la concentrazione massima di inquinanti atmosferici e il tasso di incidenza, letalità e mortalità di Covid-19 in Italia”.
A cura di Valeria Aiello
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C’è una correlazione tra il superamento dei valori limite di inquinanti atmosferici e i tassi di incidenza, mortalità e letalità di Covid-19 in Italia. Lo indicano i dati di un nuovo studio condotto da un gruppo di ricercatori tutto italiano che ha valutato il rapporto che intercorre tra l’esposizione a breve termine ad alcuni dei più pericolosi inquinanti atmosferici (PM10, PM2,5 e NO2) e la diffusione del coronavirus nelle 107 aree territoriali in cui è suddiviso lo Stato italiano, considerando in particolare le quattro regioni più colpite dalla prima ondata della pandemia (Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna e Veneto), dunque il sottoinsieme di 36 aree territoriali, circa un terzo di tutto il territorio nazionale.

In particolare, l’analisi, diretta dalla Fondazione dal Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC) in collaborazione con l’Università del Salento e l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), è stata circoscritta al primo trimestre del 2020 “per ridurre il più possibile gli effetti dipendenti dal lockdown sugli inquinanti atmosferici” spiegano gli autori dello studio, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Enviromental Pollution. Nel dettaglio, l’indagine indica “una correlazione da moderata a forte tra il numero di giorni che superano i limiti annuali di concentrazione massima imposti per gli inquinanti atmosferici PM10, PM2,5 and NO2 e i livelli d’incidenza, mortalità e letalità per Covid-19 rilevati in tutte le 107 aree territoriali prese in esame, anche se tale correlazione appare meno forte (da debole a moderata) quando l’analisi è stata ristretta alle quattro regioni del Nord Italia” spiega il professore Giovanni Aloisio, autore corrispondente dello studio e anche membro del CMCC Strategic Board, Direttore del CMCC Supercomputing Center e docente del Dipartimento di Ingegneria dell’Innovazione dell’Università del Salento.

In generale, osservano gli autori nell’abstract dello studio, i livelli di PM10 e PM2,5 hanno mostrato una correlazione più elevata rispetto a NO2 con i parametri relativi alla diffusione di Covid-19 in Italia. Inoltre, per quanto riguarda il solo particolato, i diversi livelli di PM10 sono stati ulteriormente analizzati e confrontati con la variazione del tasso d’incidenza di Covid-19 nelle aree di Milano, Brescia e Bergamo nel mese di marzo 2020, indicando una diversa variazione dei parametri di diffusione, con un’incidenza meno grave nel Capoluogo lombardo rispetto a quella osservata nelle altre due città, nonostante siano stati registrati andamenti temporali simili di PM10.

Un risultato, quest’ultimo, per cui gli studiosi suggeriscono di tenere in considerazione possibili fattori di confondimento nonché la presenza di elementi che possono modificare le dinamiche di diffusione, come per esempio la dimensione della popolazione, etnia, posti letto disponibili in ospedale, numero di individui sottoposti a test per Covid-19, variabili meteorologiche, socio-economiche e comportamentali (reddito, obesità, fumo), giorni intercorsi dal primo caso segnalato di Covid-19, distribuzione per età della popolazione.

I risultati fanno ipotizzare che sia necessario considerare questi fattori di confondimento per spiegare perché andamenti pressoché identici di PM10 osservati a Milano, Bergamo e Brescia nel primo trimestre del 2020 non abbiano determinato variazioni simili del tasso di incidenza di Covid-19” concludono i ricercatori, sottolineando che questi stessi fattori “potrebbero giustificare la differenza nella significatività statistica delle correlazioni osservata nel confronto tra il sottoinsieme delle quattro regioni del Nord Italia con l’intero Paese. Anche gli effetti negativi dei cambiamenti climatici sulla salute umana, e il loro potenziale ruolo nella pandemia”.

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