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Tumore al polmone Alk+, il futuro della terapia si chiama ensartinib

I risultati della sperimentazione clinica di fase III che ha coinvolto anche nove centri in Italia indicano che il trattamento con il nuovo farmaco raddoppia la sopravvivenza libera da progressione della malattia rispetto allo standard di cura con crizotinib.
A cura di Valeria Aiello
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Sopravvivenza libera da malattia raddoppiata rispetto agli standard di cura con crizotinib: è quanto emerge dai dati dello studio di fase 3 eXalt3 su pazienti con tumore al polmone Alk+ presentati in occasione della Conferenza mondiale sul tumore al polmone (WCLC 2020) dell’International Association for the Study of Lung Cancer. La sperimentazione clinica, che ha coinvolto anche nove centri oncologici italiani, riguarda la terapia di seconda generazione con ensartinib (X-396), un nuovo inibitore della chinasi del linfoma anaplastico, il recettore tirosin-chinasico Alk responsabile della proliferazione di questo tipo di tumore.

I risultati dello studio hanno mostrato una differenza statisticamente significativa tra i pazienti trattati con ensartinib, con una sopravvivenza libera da progressione della malattia (PFS) di 25,8 mesi, rispetto a 12,7 mesi dei pazienti trattati con crizotinib, e una buona qualità di vita grazie a un’ottima tollerabilità.  

Nello studio sono stati arruolati 290 pazienti con carcinoma polmonare non a piccole cellule Alk+,  una condizione particolarmente aggressiva che rappresenta il 5-7% di tutti i tumori al polmone e colpisce prevalentemente i giovani con un passato da non fumatori. L’avvento dei farmaci inibitori di Alk, di cui crizotinib è stato il primo, ha rappresentato una rivoluzione nella cura dei pazienti ma, rispetto allo standard terapeutico, il trattamento con ensartinib ha permesso di affrontare anche il problema delle metastasi cerebrali.

Fino al 2011, cioè all’arrivo degli inibitori di Alk di prima generazione – ha spiegato Filippo de Marinis, direttore della Divisione di Oncologia Toracica dell’Istituto Europeo di Oncologia (Ieo) di Milano, uno dei nove centri in Italia che ha partecipato allo studio – questi pazienti avevano come unica opzione la chemioterapia. Nonostante i progressi ottenuti, circa la metà dei malati trattati con queste terapie mirate, di cui crizotinib è il capostipite, sviluppava metastasi cerebrali. Da qui la necessità di trovare nuove armi, gli inibitori di Alk di seconda generazione, in grado di rispondere a necessità cliniche ancora insoddisfatte”.

Ensartinib – prosegue de Marinis –  non solo raddoppia la sopravvivenza libera da progressione rispetto a crizotinib, ma garantisce anche una buona qualità di vita grazie all’ottima tollerabilità. Non sono presenti effetti collaterali come diarrea, anemia, astenia e crampi muscolari, registrati invece con farmaci della stessa classe. In questo modo, i pazienti possono condurre una vita normale. Non solo. Ensartinib ha una maggiore capacità selettiva, perché blocca solo il gene Alk senza colpire altri bersagli molecolari”.

Come premesso, lo studio eXalt3 ha anche dimostrato che ensartinib garantisce un’elevata protezione contro le nuove metastasi cerebrali. “In questi casi, la sopravvivenza libera da progressione non è ancora stata raggiunta e si stima che possa avvicinarsi a 40 mesi, in base a dati di proiezione – ha precisato de Marinis – . Nelle persone che già presentano metastasi cerebrali, il tasso di risposta globale è stato del 64% rispetto al 21% con crizotinib. Va evidenziato che tutti i pazienti con metastasi cerebrali hanno mostrato una riduzione del tumore che, nel 64%, è stata superiore al 30% del diametro tumorale, riferimento per qualificare la risposta globale”.

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