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Covid 19

Silenzi, ritardi e segreti: un anno di errori dietro al “primo caso” di Covid in Cina

Era il 17 novembre 2019 quando nell’Hubei veniva accertata la prima positività al nuovo coronavirus. Da allora il susseguirsi di informazioni mancate ed episodi contraddittori hanno messo in ginocchio il pianeta, portando i Paesi a pesantissimi lockdown economici nel tentativo di contenere il contagio.
A cura di Valeria Aiello
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È trascorso un anno da quando in Cina è stato accertato il primo caso di Covid-19. Una data, quella del 17 novembre 2019, che abbiamo conosciuto soltanto nel marzo scorso, dopo che il South China Morning Post era venuto in possesso di documenti governativi mai resi pubblici da Pechino. Nel report si affermava che prima della fine dello scorso anno le autorità cinesi erano già a conoscenza di almeno 266 contagi e che il primo caso poteva essere fatto risalire a quello di un uomo di 55 anni residente nella provincia dell’Hubei. Da quel 17 novembre in poi sarebbero stati segnalati da uno a cinque nuovi contagi al giorno, infezioni che per settimane il Governo cinese ha tentato di coprire, esercitando pressioni sui medici che mettevano in guardia sulla possibilità che un nuovo virus simile alla già conosciuta Sars stesse provocando polmoniti anomale nella città di Wuhan e nella provincia dell’Hubei.

Informazioni mancate che avrebbero potuto forse evitare che la situazione sfuggisse di mano e che invece hanno lasciato che quel misterioso patogeno viaggiasse indisturbato verso gli altri Continenti, determinando quella che ad oggi è una pandemia che neanche un vaccino pare riuscirà a fermare. “Non basterà” è l’ultimo avvertimento arrivato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, la stessa Oms che tra dicembre e gennaio, ricevuta finalmente la notizia delle misteriose polmoniti in Cina e saputo che a causarle era un nuovo coronavirus, per settimane ha continuato a dichiarare che “non esistevano prove certe” della trasmissione del patogeno da persona a persona.

Come se i coronavirus che causano malattie respiratorie non fossero mai esistiti, come se quello della Sars identificato nel 2002 non fosse un coronavirus in grado di determinare polmoniti acute. Come se il coronavirus della Mers emerso nel 2012 non avesse provocato gravi sindromi respiratorie. Come se nulla fosse mai accaduto e nulla sarebbe successo nello sconsigliare l’applicazione di restrizioni di viaggio, nel non raccomandare l’uso delle mascherine nella popolazione generale e nel sottovalutare il ruolo degli asintomatici nella diffusione del virus.

Errori e mancanza di lucidità nel prevedere il rischio rappresentato da Covid-19 e nel gestire l’emergenza, portando i Paesi a pesantissimi lockdown economici nel tentativo di contenere i contagi, segnati da continui scontri tra scienziati e politici che in questi mesi ci hanno portato a ipotizzare risposte che in molti casi non sono ancora arrivate. Non ci sono ad esempio ancora prove scientifiche che le persone guarite da Covid-19 abbiano anticorpi che proteggano da un nuovo contagio, un aspetto di cui potremmo però essere ragionevolmente sicuri per almeno un certo periodo di tempo, a condizione di un alto livello di immunoglobuline IgG neutralizzanti. Dubbi alimentati da un virus che è si sta dimostrando un professionista nel sopprimere la risposta immunitaria, capace addirittura di convivere in una situazione di spaventoso equilibrio tra immunità e infezione. E un famelico killer quando in contatto con chi è fisicamente più fragile.

Incertezze che persistono anche nella comprensione della vera origine del nuovo coronavirus, per cui “la probabilità che sia passato direttamente da un pipistrello a un uomo è molto bassa” ha risposto a Science la ricercatrice Shi Zhengli del laboratorio di virologia di Wuhan, l’istituto accusato dal presidente Donald Trump di aver lasciato sfuggire il patogeno che sta facendo sprofondare il mondo nlla pandemia. “Non credo che il salto di specie sia avvenuto a Wuhan” ha detto Shi, sostenendo lo scenario dell’animale intermedio ed escludendo soprattutto che lo spillover sia accaduto nelle grotte di pipistrelli di Tongguan, nella provincia dello Yunann, dove nessun abitante è stato infettato dal coronavirus.

Wuhan, ritenuto epicentro della pandemia, potrebbe dunque essere “solo un luogo affollato dove si è verificato un focolaio”. Una tesi che in queste ultime settimane si è rafforzata di nuove evidenze scientifiche, compreso uno studio condotto da un gruppo di ricercatori italiani che indica, inconfutabilmente, che il virus circolava nel nostro Paese già nel settembre del 2019. Risultati che, fino a prova contraria, smontano l’ipotesi che quel 55enne della provincia dell’Hubei fosse davvero il ‘paziente zero’. Quella di oggi, 17 novembre, è perciò solo per convenzione la data del primo caso di Covid accertato.

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