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Covid 19

Ritardare la seconda dose di Pfizer aumenta gli anticorpi neutralizzanti contro la Covid

Mettendo a confronto la risposta immunitaria di 503 operatori vaccinati con la seconda dose a 3-4 settimane o 6-14 settimane dalla prima, un team di ricerca britannico guidato da scienziati dell’Università di Newcastle ha determinato che ritardare il richiamo di Pfizer aumenta il numero di anticorpi neutralizzanti contro il coronavirus SARS-CoV-2, oltre a quello delle cellule T legate alla memoria immunitaria. Tuttavia, poiché la singola dose risulta poco efficace contro la variante Delta ora dominante, gli scienziati devono ancora determinare quale sia l’intervallo ideale tra le due dosi.
A cura di Andrea Centini
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Come dimostrato da diversi studi, è fondamentale completare il ciclo vaccinale con la doppia dose per proteggersi efficacemente dalla variante Delta del coronavirus SARS-CoV-2. Una recente indagine della Public Health England, ad esempio, ha evidenziato che se una singola dose di vaccino anti Covid di Pfizer determina un'efficacia (contro l'infezione sintomatica) attorno al 30 percento, dopo il richiamo si arriva quasi al 90 percento. Le due dosi, dunque, sono un'arma preziosissima per difendersi: ma qual è l'intervallo di tempo ideale tra la somministrazione della prima e della seconda dose? Da quando sono iniziate le campagne vaccinali le autorità sanitarie hanno fatto diversi cambiamenti in corsa, principalmente per garantire la prima dose a quante più persone possibili. Per quanto concerne il vaccino di Pfizer-BioNTech, ad esempio, in Italia si è passati da 21 a 35/42 giorni e poi si è tornati nuovamente a 21. Nel Regno Unito, d'altro canto, si era addirittura arrivati a distanziare la seconda dose a 12 settimane dalla prima, con un recente “dietrofront” che ha spostato il richiamo a 8 settimane. Un nuovo studio ha provato a far luce su quale combinazione temporale determini la migliore risposta immunitaria, giungendo alla conclusione che le 8 settimane possono offrire alcuni vantaggi rispetto alle 3.

A condurre l'indagine è stato un team di ricerca britannico guidato da scienziati dell'Università di Newcastle, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Dipartimento di Medicina “Nuffield” dell'Università di Oxford, della Public Health England (PHE), dello University Hospitals Birmingham NHS Foundation Trust di Birmingham e di numerosi altri istituti. I ricercatori, coordinati dalla professoressa Rebecca P. Payne, docente presso il Translational and Clinical Research Institute Immunity and Inflammation Theme dell'Università di Newcastle, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver eseguito vari esami di laboratorio sul sangue di 503 operatori sanitari del Servizio sanitario nazionale britannico (NHS), tutti vaccinati con tempistiche diverse tra la fine del 2020 e l'inizio del 2021 con il farmaco di Pfizer-BioNTech. Si tratta di un periodo significativo poiché all'epoca la variante Alfa (B.1.1.7, ex inglese) stava guidando l'ondata di contagi e un recente studio ha dimostrato che le due dosi di Pfizer proteggono dalla variante Delta come dalla variante Alfa.

Analizzando le risposte immunitarie di tutti i vaccinati, la professoressa Payne e i colleghi hanno determinato che sia gli intervalli di somministrazione di 3-4 settimane (il regime convenzionale) che quelli "lunghi" di 6-14 settimane hanno garantito una robusta risposta immunitaria contro il coronavirus SARS-CoV-2, tuttavia la vaccinazione a 21 giorni ha prodotto una concentrazione inferiore di anticorpi neutralizzanti contro la proteina S o Spike del patogeno. Si tratta delle immunoglobuline IgG che si legano al virus e gli impediscono di agganciarsi alle cellule e infettarle. I livelli di anticorpi, tuttavia, sono diminuiti dopo la prima dose, pertanto allungare troppo i tempi tra la prima e la seconda dose potrebbe lasciare in parte “scoperti” contro una variante molto trasmissibile come la Delta; non a caso nel mondo reale la singola dose ha dimostrato un'efficacia del 30 percento e la doppia dell'88 percento. Dopo la prima dose sono comunque rimasti elevati i livelli dei linfociti T o cellule T, cellule che fanno parte di un altro braccio della risposta immunitaria, quella cellulare. Queste cellule non colpiscono direttamente il virus, ma vanno a "caccia" delle cellule già infettate e le eliminano, giocando un ruolo fondamentale nella protezione dell'organismo.

Gli scienziati britannici hanno osservato che nel complesso la vaccinazione a 8 settimane determina una concentrazione generale inferiore di cellule T, ma fra esse una in particolare risulta incrementata, quella delle cellule T “Helper”, che secondo gli scienziati hanno un impatto sulla memoria immunitaria. “Il nostro studio è una delle valutazioni più complete della risposta immunitaria alla COVID-19 a seguito di due dosi del vaccino Pfizer. Abbiamo trovato un modello interessante nei livelli delle cellule immunitarie presenti. Il nostro studio fornisce prove rassicuranti che entrambi i programmi di dosaggio generano solide risposte immunitarie contro il virus dopo due dosi”, ha dichiarato la professoressa Payne in un comunicato stampa. “Per il programma più lungo, i livelli di anticorpi sono diminuiti tra la prima e la seconda dose, il che includeva la perdita di qualsiasi effetto neutralizzante contro la variante Delta. Tuttavia, le risposte delle cellule T sono state coerenti, indicando che potrebbero contribuire a un'importante protezione contro la COVID-19 in questo intervallo di tempo”, ha aggiunto la scienziata.

Gli scienziati sottolineano che è ancora troppo presto poter affermare quale sia l'intervallo di tempo ideale tra le due dosi per ottenere il massimo della protezione, tuttavia, poiché la singola dose non sembra particolarmente efficace contro la variante Delta – ora dominante anche in Italia – e considerando che entrambi i regini temporali (convenzionale e lungo) hanno determinato una robusta risposta immunitaria, il regime a 21-28 giorni al momento sembrerebbe essere ancora la soluzione migliore. I dettagli della ricerca “Sustained T cell immunity, protection and boosting using extended dosing intervals of BNT162b2 mRNA vaccine” sono stati caricati sul sito dello studio PITCH, ma non sono ancora stati sottoposti a revisione paritaria e dunque pubblicati su una rivista scientifica.

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