Riparte la caccia al bosone di Higgs, Europa e USA in gara per stanarlo
Lo scorso settembre, mentre dall’acceleratore LHC del CERN di Ginevra giungeva la notizia di un’incredibile scoperta, ora tutta da verificare, riguardo i neutrini, dall’altra parte dell’Atlantico chiudeva il Tevatron, il più grande acceleratore di particelle al mondo prima dell’inaugurazione, nel 2010, del Large Hadron Collider. Ma agli scienziati americani la cosa non è andata giù. Il Tevatron sarà anche chiuso, ma gli uffici e i laboratori del Fermilab vicino Chicago – dove si trova il Tevatron – sono ancora attivissimi. Ci sono ancora terabyte di dati da analizzare e tra quelli potrebbe esserci l’indizio che dimosterebbe l’esistenza del bosone di Higgs, la cosiddetta “particella di Dio”. Proprio quella che il CERN sta cercando di stanare e che, nell’ultima dichiarazione sull’argomento, si ritiene abbia dato importanti indizi della sua esistenza, tali da permettere di sperare nella sua definitiva scoperta entro la fine di quest’anno.
In gara per la particella di Dio
Si apre quindi la prospettiva di una gara tra Stati Uniti ed Europa per scoprire per primi il bosone di Higgs, la cui esistenza permetterebbe di dimostrare la correttezza del modello standard della fisica. Il bosone di Higgs sarebbe, secondo le teorie, la particella di un ipotetico campo – il campo di Higgs – al contatto con il quale, 13 miliardi di anni fa, tutte le altre particelle acquisirono una particolare massa, quella che possiedono attualmente. Una delle più grandi domande della fisica e della cosmologia è infatti perché le particelle che compongono la materia conosciuta abbiano determinate masse e non altre. Secondo Peter Higgs, il fisico britannico che teorizzò il bosone che porta il suo nome negli anni ’60, questa massa dipenderebbe dall’intensità con cui le particelle interagirono ai primordi dell’universo con il campo di Higgs.
Forse tecnicamente può cambiare poco, ma per la fisica il bosone di Higgs è una sorta di “santo Graal”. Quello che interessa agli scienziati è infatti dare una spiegazione a tutto. E il fatto che i componenti ultimi della materia abbiano masse diverse con numeri apparentemente buttati a caso non piace per nulla ai fisici. Perché quei valori e non altri? Prima dell’introduzione di questa teoria, che oggi fa parte del “modello standard” della fisica, i valori delle masse erano considerati dei dati di fatto, dei valori casuali o “calati dall’alto”, postulati inspiegabili e indimostrabili. Scoprire il bosone di Higgs spazzerebbe via ogni traccia di casualità nella comprensione scientifica dell’universo. E per questo obiettivo la scienza ha messo in campo tutte le più avanzate risorse tecnologiche oggi esistenti per raggiungere, all’interno degli acceleratori, le energie più alte dell’universo, quelle che esistevano nei primi istanti dopo il Big Bang: il momento in cui esisteva il campo di Higgs.
A un passo dalla "nuova fisica"
Il Fermilab vuole tornare in campo: fino al 2010, infatti, tutte le speranze della fisica si concentravano sul Tevatron. E agli americani non ha fatto piacere essersi visti sottrarre lo scettro della ricerca nel campo delle alte energie. Ora, tra i dati concernenti 500 trilioni di collisioni tra particelle sub-atomiche, sono spuntati fuori importanti indizi sull’esistenza del bosone di Higgs. “Sfortunatamente, queste tracce non sono sufficientemente significative per concludere che il bosone di Higgs esista”, chiarisce Rob Roser, fisico del Tevatron, in una conferenza tenutasi mercoledì a La Thuile, in provincia di Aosta. Quello che è stato trovato è lo stesso indizio reso noto alla fine dell’anno scorso da LHC a Ginevra. La probabilità che le tracce individuate non siano altro che fluttuazione statistica sono circa 1 su 250. Sembra parecchio, ma non ancora abbastanza: la fisica impone che per annunciare una vera e propria scoperta sia necessario raggiungere una probabilità a sfavore di 1 contro 740.
Tuttavia, c’è spazio per un cauto ottimismo. Secondo alcuni commentatori, incrociando i nuovi dati del Tevatron con i risultati resi noti lo scorso dicembre da LHC, quello ottenuto è il più forte indizio dell’esistenza del bosone di Higgs. Secondo LHC, la particella di Dio si dovrebbe trovare in una fascia tra i 124 e i 126 miliardi di elettronvolt (l’elettronvolt è l’unità di misura della massa delle particelle elementari). Secondo il Tevatron, la fascia di probabilità in cui trovare il bosone varia tra i 115 e i 135 miliardi di elettronvolt. Siamo lì, anche se l’acceleratore del CERN ha ristretto maggiormente il margine di errore. LHC lavora a energie più alte di quelle mai raggiunte dal Tevatron prima del suo spegnimento, e ora si prepara ad aumentarle del 14%, raggiungendo un’energia di collisione dei protoni di 8 trilioni di elettronvolt. Gli europei, insomma, non vogliono farsi battere sul tempo, a un passo dal traguardo agognato per oltre quarant’anni.
Le nuove collisioni produrranno dati fino a novembre, dopodiché si chiuderà la stagione della caccia per un periodo di circa 20 mesi. Alla fine di questo lungo stop, si partirà con energie ancora maggiori, tali da aprire – secondo i più ottimisti – una nuova fase della fisica a partire dagli inizi del 2015. Ma gli scienziati non hanno affatto intenzione di aspettare tanto. “Non penso ci siano altri posti per l’Higgs in cui nascondersi”, sostiene Rob Roser del Tevatron. “Conosceremo la risposta in un modo o nell’altro entro la fine del 2012”.