Ragazze e matematica, ancora indietro in Italia e nei paesi anglosassoni
Gli stereotipi sull’impegno delle ragazze nelle materie scientifiche resistono a sorpresa nei paesi più avanzati al mondo. Secondo un ricerca OCSE diffusa martedì, nei test scientifico-matematici svolti da studentesse 15enni nelle scuole dei paesi occidentali i risultati peggiori sono proprio negli Stati Uniti, in Canada e nel Regno Unito dove mediamente le ragazze ottengono voti inferiori a quelli dei loro coetanei maschi. Mentre invece in Russia e nei paesi arabi le ragazze sono in vantaggio. Com’è possibile? Secondo gli esperti, resistono stereotipi di genere che limitano l’interesse delle donne alle materie scientifiche, tradizionalmente considerate più maschili.
Stereotipi di genere
Il dato è particolarmente rilevante se si considera che, in media, le ragazze ottengono sempre voti leggermente migliori rispetto ai maschi. E la genetica ci ha dimostrato che non c’è niente da fare: non esiste una differenza biologica tra maschi e femmine riguardo l’abilità nell’area matematica. Secondo una ricerca del Dipartimento USA per la Pubblica Istruzione, molto dipende dall’auto-percezione delle ragazze rispetto alle loro abilità matematiche e scientifiche: un’alta considerazione di sé in questo ambito coincide solitamente con la scelta di intraprendere successivamente delle carriere scientifiche. “Migliorare le convinzioni delle ragazze riguardo le loro abilità potrebbe modificare le loro scelte e performance”, sostiene il Dipartimento, “particolarmente quando passano dalle scuola elementari alle medie e alle superiori”.
È infatti in quella fase, a partire dall’ultimo anno delle scuole medie e per tutto il percorso liceale, che il gap tra ragazzi e ragazze aumenta. Secondo alcuni esperti intervistati dal giornale britannico The Guardian, ciò che limita le abilità matematiche delle ragazze è il modo in cui vengono presentate le materie scientifiche nelle scuole. Affrontare problemi dove tutto ciò che conta è il risultato piuttosto che il metodo, acquisire conoscenze estremamente tecniche o nozioni senza un approfondimento e una riflessione alla base, allontanerebbero le ragazze da queste materie. Se invece si modificano i test, mettendo più in luce l’aspetto creativo e riflessivo della scienza, i risultati migliorano sensibilmente. Una considerazione che, se fatta propria dagli insegnanti, potrebbe portare lontano. Nei paesi arabi l’insegnamento scientifico è simile al nostro, ma lì le donne hanno la consapevolezza che una carriera scientifica è una delle strade migliori per l’emancipazione, perché le porta a confrontarsi da pari con i propri colleghi maschi. Ambizione, questa, ormai persa in Occidente.
La situazione in Italia
Secondo Christianne Corbett, co-autrice nel 2010 del rapporto Why So Few? Women in Science, Technology, Engineering and Math (“Perché così poche? Le donne nella scienza, tecnologia, ingegneria e matematica”), gli stereotipi di genere sono già pienamente formati a 4 anni. Le bambine imparano che materie come l’ingegneria e la tecnologia sono prettamente maschili, mentre le femmine sono più portate, per esempio, per l’insegnamento nelle scuole. È per questo, sostiene, che le donne scelgono di meno le carriere scientifiche, “sebbene siano chiaramente capaci di intraprenderle con successo”.
E in Italia? Secondo i dati dell’associazione “Observa” pubblicati nel rapporto Donne e Scienza 2010, le ragazze nel nostro paese ottengono un punteggio inferiore di circa 10 punti rispetto ai loro coetanei maschi. Le differenze minori sono nelle regioni del Nord, i dati peggiori in Campania. Tuttavia, la percentuale di studentesse di materie scientifiche e tecnologiche all’università è, in Italia, tra i più alti al mondo: ben il 50,3% rispetto a una media UE del 37,5%. C’’è poco da gioire, tuttavia. A fronte di grandi eccellenze nell’ambito della ricerca scientifica (basti pensare agli esempi mediatici più noti, come Fabiola Gianotti e Ilaria Capua), molte laureate in materie scientifiche finiscono per fare altro. Ma questo, purtroppo, sembra essere un problema che riguarda tutti i laureati italiani, a prescindere dal genere.