Questi tre studi hanno convinto gli Stati Uniti a dare il via libera alla terza dose
Gli Stati Uniti inizieranno a somministrare la terza dose di vaccino anti-Covid a partire dal 20 settembre. Le inoculazioni riguarderanno tutti gli americani vaccinati con Pfizer e Moderna, che potranno ricevere la nuova dose di richiamo otto mesi dopo la seconda iniezione, secondo quanto annunciato dalle autorità sanitarie federali. I vaccinati con Johnson & Johnson dovranno invece attendere più dati, sebbene i funzionari abbiano affermato di aspettarsi che anche per chi ha ricevuto il siero monodose (il terzo dei tre vaccini approvati negli Stati Uniti) sarà necessario un richiamo.
Le indicazioni degli esperti di salute pubblica e medici del Dipartimento della salute e servizi umani (HHS) degli Usa, previa autorizzazione della Food and Drug Administration (FDA) e raccomandazione dei Centers for Disease Control and Prevention (FDA), si basano sui dati finora disponibili, che “mostrano chiaramente come la protezione contro l’infezione da coronavirus inizi a diminuire nel tempo, e in associazione con la prevalenza della variante Delta, iniziamo a vedere una protezione ridotta contro la malattia in forma moderata e lieve – si legge in una dichiarazione firmata dalla direttrice dei CDC, Rochelle Wakensky, e dal capo della FDA, Janet Woodcock.
Gli studi sulla terza dose di vaccino
Decisivi, in particolare, i dati di tre nuovi studi condotti negli Stati Uniti, che hanno convinto l’amministrazione Biden a dare il via libera al piano di distribuzione delle terze dosi per rafforzare la risposta del sistema immunitario delle persone vaccinate mesi prima. Tutti e tre questi report, pubblicati dai CDC su Morbidity and Mortality Weekly Report, valutano l’efficacia dei vaccini, confrontando i tassi di infezione o ospedalizzazione tra i vaccinati con quelli di persone non vaccinate.
Prima della loro pubblicazione, tutte le valutazioni poggiavano in gran parte su studi svolti al di fuori degli Usa, tra cui un recente rapporto del Public Health England (PHE) sul New England Journal of Medicine che ha indicato che il vaccino di Pfizer è efficace all’88% contro le infezioni sintomatiche in Inghilterra. Altre analisi, inclusa una condotta in Israele, hanno riscontrato un maggiore calo nella protezione dalle infezioni, mentre un’analisi statunitense non ancora sottoposta a revisione paritaria e basata sui dati raccolti dalle strutture del Mayo Clinic Health System in cinque Paesi degli Stati Uniti ha riscontrato una riduzione dell’efficacia del vaccino di Pfizer contro le infezioni da Delta del 42%. L’altro siero a mRNA prodotto da Moderna era invece risultato efficace al 76%.
Il primo dei tre nuovi studi, condotto dai ricercatori del Dipartimento della salute dello Stato di New York e della School of Public Health dell’Università di Albany, è stato quello che originariamente ha valutato la protezione dell’infezione da variante Delta in tutto lo stato Usa. Gli autori dell’analisi hanno riscontrato un modesto calo dell’efficacia, scesa al 92% da marzo a maggio fino all’80% a fine luglio. I dati hanno inoltre evidenziato che il 20% delle nuove infezioni e il 15% dei ricoveri per Covid-19 si sono verificati tra le persone vaccinate.
Il secondo dei tre studi pubblicati dai CDC ha rilevato che l’efficacia contro l’infezione è diminuita tra i residenti nelle case di cura dopo l’emergere della variante Delta: la protezione è scesa dal 75% di maggio al 53% di giugno e luglio. La vaccinazione per i visitatori e il personale è fondamentale, hanno scritto gli autori dello studio, e “potrebbero essere prese in considerazione dosi aggiuntive di vaccino per i residenti delle case di cura e delle strutture di lungodegenza”.
Il terzo rapporto, un’analisi dei pazienti in 21 ospedali in 18 Paesi degli Stati Uniti, ha invece riscontrato una protezione sostenuta contro il ricovero in ospedale: l’efficacia è rimasta stabile all’86%, anche nei mesi di metà estate, quando la variante Delta ha surclassato le altre varianti di preoccupazione. Per gli adulti che non hanno un sistema immunitario compromesso, tale efficacia è stata del 90%.
Protezione e prevenzione nei vaccinati
Dal momento i vaccinati rischiano in certa misura di contrarre l’infezione ma potrebbero comunque avere comportamenti più rischiosi, decidendo ad esempio di non indossare le mascherine in zone affollate, l’uso di queste e altre precauzioni dovrebbe far parte di “un approccio a più livelli incentrato sulla vaccinazione” si legge nello studio di New York, i cui ricercatori non attribuiscono con certezza alla variante Delta il cambiamento di efficacia del vaccino. La protezione potrebbe diminuire per il calo delle difese immunitarie, oppure perché si tratta di valutazioni relative, a causa di incertezze sui dati o segnalazioni.
Ad ogni modo, questi studi mostrano come i vaccini Covid, per quanto preziosi nel proteggere dalle forme gravi di Covid, abbiano dei limiti in termini di prevenzione dall’infezione, pertanto con l’allentamento delle misure non farmaceutiche, come il distanziamento e l’uso delle mascherine, possono verificarsi più casi di infezione. “La nostra massima priorità rimane stare al passo con il virus e proteggere il popolo americano con vaccini sicuri, efficaci e di lunga durata, soprattutto nel contesto di un virus e di un panorama epidemiologico in continua evoluzione – hanno aggiunto le autorità sanitarie federali – . Vogliamo anche sottolineare l'urgenza in corso di vaccinare i non vaccinati negli Stati Uniti e nel mondo. Quasi tutti i casi di malattia grave, ospedalizzazione e morte continuano a verificarsi tra coloro che non sono ancora stati affatto vaccinati. Pertanto continueremo a intensificare gli sforzi per aumentare le vaccinazioni e per garantire che le persone abbiano informazioni accurate sui vaccini da fonti attendibili”.