Quegli italiani “non occupabili” dietro al Nobel per la Fisica
Ieri erano “choosy”, “schizzinosi”, perché non si accontentavano di un lavoro qualunque; l’altro ieri erano “bamboccioni”, perché restavano a casa dei genitori fino a oltre trent’anni; oggi sono “poco occupabili”, perché l’OCSE ha reso noto che il 70% non è in grado di vivere e lavorare nel XXI secolo. Loro sempre gli stessi, gli italiani che non trovano lavoro, o che si barcamenano nella precarietà estesa a sistema di vita; ma anche chi li definisce così sono sempre gli stessi, i ministri dell’economia, dello sviluppo e del lavoro che si sono succeduti negli ultimi anni. “Il dato dell’OCSE dimostra quanto gli italiani siano poco occupabili”, ha dichiarato ieri il ministro del lavoro, Enrico Giovannini, facendo poi subito dopo marcia indietro dopo che sul web e sugli organi di stampa si era scatenato il putiferio sulle sue affermazioni. Un fondo di verità, certo, esiste. È costituito dai dati incontrovertibili che ci vedono buoni ultimi tra i 24 paesi europei dell’OCSE in quanto a comprensione di un testo, capacità di calcolo e logica matematica. È vero anche, però, che quei dati si riferiscono a indagini condotte su tutta la popolazione italiana, ignorando i picchi di eccellenza, che non sono pochi; e che i governi del nostro paese non hanno mai salvaguardato, salvo poi rammaricarsi della fuga dei cervelli e di quei talenti che lavorano all’ombra dei premi Nobel, come nel caso dell’ultimo premio per la fisica.
I fisici italiani dimenticati
Perché, se è vero che il Nobel è meritatamente andato a Peter Higgs e François Englert, i fisici che negli anni ’60 del secolo scorso teorizzarono l’esistenza di un bosone dietro al meccanismo responsabile della massa della materia, è vero anche che la conferma di quell’ipotesi è giunta solo meno di due anni fa grazie agli sforzi decennali di centinaia e centinaia di scienziati sperimentali al CERN di Ginevra. E i due esperimenti, ATLAS e CMS, che hanno permesso di scoprire le tracce del bosone di Higgs nell’acceleratore di particelle LHC, erano guidati quell’anno da due italiani, Fabiola Gianotti e Guido Tonelli. E tanti altri italiani, con loro, hanno contribuito in modo decisivo alla scoperta del decennio nel campo della fisica. Certo, il Nobel non è andato a loro, forse anche immeritatamente perché il ruolo del CERN nella scoperta del bosone di Higgs non è stato dovutamente sottolineato dalla commissione di Stoccolma (e da qui sarebbe scoppiata la polemica che ha fatto ritardare di un’ora l’annuncio di martedì, secondo i rumor). Ma dal governo italiano ci si aspettava qualche riconoscimento in più sull’italianità del premio, anche solo per cancellare la figuraccia del settembre 2011, quando il portavoce dell’allora ministro Gelmini si complimentò per la scoperta (poi smentita) dalle proprietà superluminali dei neutrini realizzata grazie a un fantomatico tunnel costruito tra il CERN e il Gran Sasso. Invece niente.
Le colpe della politica
Ma la fisica è solo uno dei settori di eccellenza del nostro paese, dai tempi di Guglielmo Marconi a quelli di Enrico Fermi, poi di Carlo Rubbia e oggi di Gianotti, Tonelli e di tanti altri. La neo-Senatrice a vita e ricercatrice di punta delle cellule staminali, Elena Cattaneo, in un editoriale uscito domenica scorso sul Sole 24 ore e intitolato “Un’altra Italia è possibile”, ha tracciato la via. È la via che passa per la valorizzazione del metodo scientifico, avvilito dalla politica che negli ultimi mesi è passata dall’approvazione della legge che impedisce la ricerca sugli OGM a quella che assegna tre milioni di euro alla sperimentazione del metodo Stamina, bocciato dalla comunità scientifica internazionale, fino alla norma che bloccherebbe per sempre la possibilità di utilizzare la sperimentazione animale per ricerche fondamentali per la cura di numerose malattie, costringendo migliaia di giovani ricercatori a emigrare all’estero per proseguire le ricerche.
Le parole della professoressa Cattaneo dovrebbero far riflettere il ministro Giovannini e il suo governo: “Diamo pochi o nessun finanziamento, abbiamo una politica economica dell’innovazione (brevetti) inesistente; un sistema scolastico strutturalmente ridotto a un colabrodo, umiliamo i docenti di scuole, i giovani studiosi e le università con imposizioni contro logica, cultura e scienza, abbiamo precariato e stipendi che non si vedono in nessuno degli altri paesi del G8. E si potrebbe continuare”. Di fronte a queste realtà, viene da sé che l’Italia si trovi in fondo a quella classifica OCSE. Sarebbe il momento che i governi, invece di biasimare sempre gli altri, invertano questa tendenza al declino inesorabile del nostro paese. Prima che il prossimo Nobel italiano, come già è accaduto con Rita Levi-Montalcini, Carlo Rubbia o Riccardo Giacconi, debba ringraziare prima gli Stati Uniti e poi l’Italia per il risultato conseguito.