Quanti tipi di coronavirus circolano nel mondo?
Il virus originale, quello individuato in Cina nel dicembre dello scorso anno, è del ceppo L, mentre in Italia e in Europa sono maggiormente diffusi il ceppo G e il ceppo GR. Ma quanti sono i tipi di coronavirus che circolano nel mondo? La risposta arriva da uno studio pubblicato sulla rivista Frontiers in Microbiology da un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie dell’Università di Bologna che hanno analizzato 48.635 genomi di Sars-Cov-2, isolati nei laboratori di tutto il mondo. Il team ha così potuto tracciare la distribuzione geografica e la frequenza di mutazione cui il coronavirus è andato incontro dallo scoppio dell’epidemia. “La nostra analisi – scrivono i ricercatori – conferma un basso tasso di mutazione del virus, con una media di 7,23 mutazioni rispetto alle sequenze di riferimento del genoma di Sars-CoV-2 isolato a Wuhan”, meno di quanto accada con il virus dell’influenza. “Il coronavirus è probabilmente già molto ben ottimizzato per attaccare gli esseri umani e per questo non sembra avere molta spinta dal punto di vista evolutivo – ha spiegato Federico Giorgi, il ricercatore che ha guidato lo studio – . Questo ci dice che le cure in corso di sviluppo, a partire dal vaccino, potrebbero al momento essere efficaci per tutti i ceppi virali esistenti”.
Quanti tipi di coronavirus circolano nel mondo?
Al momento, i ceppi virali sono sei: come detto, oltre a quello originale di Wuhan, denominato ceppo L, all’inizio del 2020 è stato isolato il ceppo S, mentre a metà gennaio i ceppi V e G. Da quest’ultimo, che al momento è il più diffuso al mondo, alla fine di febbraio sono derivati i ceppi GR e GH. “A livello globale, il ceppo G e i due ceppi collegati, GR e GH, rappresentano il 74% di tutte le sequenze genomiche che abbiamo analizzato – ha aggiunto Giorgi – . Sono caratterizzati da quattro mutazioni, due delle quali cambiano la sequenza delle proteine RNA polimerasi e Spike del virus: elementi che probabilmente offrono un leggero vantaggio per la sua diffusione”.
I ricercatori hanno potuto tracciare la frequenza delle diverse mutazioni e la loro distribuzione geografica, osservando che il ceppo G e il ceppo GR sono i più diffusi in Italia e in Europa mentre il ceppo GH sembra essere assente sul territorio italiano. Al contrario, il ceppo GH è molto presente in Francia e in Germania, così come in Nord America. In Sud America, invece, il ceppo più diffuso è GR. Stando ai dati, in Asia, sta invece aumentando la diffusione dei ceppi G, GH e GR, comparsi nel continente solo all’inizio di marzo, più di un mese dopo la loro prima diffusione in Europa. A livello globale, il ceppo G e i due ceppi derivati GH e GR sono in continua crescita, abbinati alla graduale scomparsa del ceppo originale L e del ceppo V, mentre il ceppo S rappresenta una significativa minoranza dei genomi sequenziati, soprattutto in alcuni Paesi, come ad esempio negli Stati Uniti e in Spagna.
“Come osservazione generale – aggiungono i ricercatori – i Paesi tendono a seguire la tendenza generale del loro continente, con alcune importanti eccezioni. In Cina, ad esempio, non si è diffuso il ceppo G e i suoi derivati, mentre alcuni Paesi europei hanno una prevalenza di ceppi GH (Danimarca, Francia) e altri di GR (Regno Unito, Portogallo). Il ceppo attualmente predominante negli Usa è GH, come a Israele e in Arabia Saudita, mentre i genomi più comuni in Russia e Brasile appartengono al ceppo GR”. Differenze che sembrano dimostrare l’efficacia delle misure di isolamento attuate nei mesi scorsi dai diversi Paesi.
Come parte finale dell’analisi, i ricercatori hanno analizzato gli effetti delle mutazioni di Sars-CoV-2, producendo una mappa delle più ricorrenti (più di 75 osservazioni), anche se più rare e silenti. “Sono meno dell’1% del totale dei genomi sequenziati – ha precisato Giorgi – ma è importante continuare a studiarle in modo da identificarne la funzione e tenerne sotto controllo la frequenza: uno sforzo per il quale è indispensabile che tutti i Paesi, a partire dall'Italia, diano il loro contributo, rendendo pubblici i dati sul sequenziamento dei virus che vengono isolati”.