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Covid 19

Quali sono i rischi di riaprire le scuole con la variante inglese in circolazione

La chiusura delle scuole rappresenta una delle principali “misure draconiane” per arrestare la diffusione di una patologia infettiva all’interno di una comunità, e non a caso è stata introdotta sin dall’avvio della pandemia di COVID-19. Ma la misura ha un impatto negativo su crescita e formazione degli studenti, e per le istituzioni trovare un equilibrio è estremamente complicato. La circolazione della variante inglese del coronavirus (più contagiosa) potrebbe rendere ancor più difficile gestire la riapertura delle scuole senza far impennare la curva. Ecco quali sono i rischi.
A cura di Andrea Centini
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A settembre del 2020 è stata identificata una nuova variante del coronavirus SARS-CoV-2 nell'Inghilterra sudorientale, che nel giro di alcune settimane è diventata quella dominante in larga parte del Regno Unito. La ragione, secondo gli esperti, risiede nella maggiore trasmissibilità, come dimostrato da un recente studio dell'Imperial College di Londra, a causa delle numerose mutazioni che caratterizzano il lignaggio. Benché non sia più mortale, la notevole contagiosità della variante inglese – chiamata B.1.1.7 o Variant of Concern 202012/01VOC-202012/01 – ha determinato un vero e proprio boom di nuove infezioni nel Regno Unito, e più casi si traduce purtroppo in più morti. La circolazione di questa variante, già rilevata in diversi Paesi, sta rendendo necessario l'inasprimento delle misure anti contagio, e tra quelle che fanno più discutere gli esperti vi è indubbiamente la chiusura delle scuole. Tra didattica a distanza, turni diversificati, classi al 50 percento, banchi singoli e altre misure è stato fatto tutto il possibile per provare a mantenere l'istruzione a livelli adeguati per bambini e ragazzi, ma è ormai chiaro che, a quasi un anno dal primo lockdown in Italia, solo con le lezioni in presenza si può avere una formazione a tutto tondo, anche per una questione di socialità che è alla base della crescita. Tuttavia ci si sta interrogando sul rischio dell'apertura delle scuole in presenza della minaccia posta dalla nuova variante.

A suggerire che la chiusura delle scuole sarebbe stata l'opzione da privilegiare vi erano le prime informazioni riguardanti la variante inglese, come l'indagine condotta da scienziati del New and Emerging Respiratory Virus Threats advisory group (Nervtag), in base alla quale era emerso il sospetto che il lignaggio B.1.1.7 avesse reso i bambini suscettibili al coronavirus SARS-CoV-2 quanto gli adulti. Ciò tuttavia, viene smentito da una nuova ricerca condotta da scienziati della Public Health England (PHE), l’Agenzia governativa del Dipartimento della Sanità e dell’Assistenza sociale del Regno Unito. In base ai risultati citati dal New York Times, è stato evidenziato che i bambini piccoli hanno circa la metà delle probabilità degli adulti di trasmettere la variante ad altre persone. L'indagine si è basata sul tracciamento dei contatti di circa 20mila pazienti contagiati dalla B.1.1.7, tra i quali 3mila erano bambini con un'età inferiore ai 10 anni. Il risultato è del tutto in linea con quello del lignaggio “selvatico” (quello circolante da tempo) del coronavirus SARS-CoV-2. “All'inizio c'erano molte speculazioni che suggerivano che i bambini diffondessero maggiormente questa variante. Non è proprio così”, ha dichiarato al celebre quotidiano newyorchese il professor Muge Cevik, docente di malattie infettive presso l'Università di St. Andrews (Scozia) e tra i membri della task force anti COVID del governo guidato da Boris Johnson.

Naturalmente, sebbene non vi sia una maggiore suscettibilità come ipotizzato dalle prime ricerche, la variante ha comunque una trasmissibilità superiore del 30-50 percento (e non del 70 percento come si riteneva nelle scorse settimane); ciò, naturalmente, si traduce in un maggior numero di contagi anche fra i bambini, e i numeri drammatici che giungono ogni giorno dai bollettini del Regno Unito stanno lì a dimostrarlo. Con questa variante in circolo è indubbio che vi sia un maggior rischio che l'apertura delle scuole possa accelerare la curva di contagi, ma secondo diversi esperti deve essere fatto tutto il possibile per tenerle aperte. Non solo per tutelare la didattica in presenza, ma anche la salute mentale dei ragazzi, erosa da un anno di difficoltà, isolamento e sofferenze. “Continuo a dire esattamente quello che molte persone hanno detto negli ultimi mesi: che le scuole dovrebbero essere l'ultima cosa da chiudere”, ha dichiarato al NYT la professoressa Helen Jenkins, docente di malattie infettive presso l'Università di Boston. “Mantenere le scuole aperte comporta qualche rischio, ma penso che possa essere ridotto sostanzialmente con tutte le misure in atto”, ha aggiunto l'esperta.

Intervistato a fanpage, il virologo Fabrizio Pregliasco dell'Università Statale di Milano ha affermato che la ripresa della didattica in presenza “per il volume di spostamenti che c’è intorno, rappresenta un elemento di preoccupazione”. Il problema, infatti, non è centrato sul rischio di contagio nelle aule e nei corridoi delle scuole, ma sul maggior numero di persone in circolazione (come genitori e altri accompagnatori) per permettere ai ragazzi di seguire le lezioni in presenza. Come evidenziato dall'esperto, per la Lombardia i dati epidemiologici hanno indicato che l'avvio della seconda ondata è strettamente legata alla fascia di età 14-18 anni, e poiché potremmo essere in procinto di entrare in una pericolosa terza ondata di contagi, con la curva che tende a risalire, i rischi che si parano innanzi non sono assolutamente da sottovalutare. Ma è certo che i ragazzi non potranno continuare a lungo con la didattica a distanza, caratterizzata da problematiche e limiti portati alla luce dai mesi di sperimentazione.

Secondo un recente studio condotto da scienziati del London School of Hygiene & Tropical Medicine e dall'Oxford COVID-19 Government Response Tracker è stato determinato che nel Regno Unito la sola chiusura delle scuole potrebbe ridurre la trasmissione del coronavirus SARS-CoV-2 del 15 percento dopo un mese, mentre la riapertura sarebbe in grado di far impennare i contagi del 24 percento dopo un altro mese. Un rapporto del Comitato scientifico per le emergenze (SAGE) del Regno Unito ha invece dimostrato che la chiusura di tutte le scuole determinerebbe una riduzione dell'indice Rt “di circa 0,2-0,5 punti”, mentre se venissero chiuse le sole scuole di secondo grado si avrebbe una riduzione di 0,35 punti. Nonostante questi dati, come affermato da Pregliasco, determinare l'impatto della scuola sul tasso dei contagi non è affatto semplice. “Questo è un aspetto controverso perché, presumibilmente, la scuola è un luogo non a rischio. È anche chiaro che l’apertura della scuola, in considerazione di tutto quello che ruota intorno al movimento dei ragazzi, è un elemento di notevole rischio, per cui è difficile individuare la responsabilità stringente della scuola o del contesto esterno”, ha sottolineato il virologo.

Ovviamente la potenziale circolazione di una variante molto più contagiosa del coronavirus può esacerbare questi rischi, e si deve trovare una soluzione che tuteli crescita e formazione dei ragazzi con la salute della comunità. Come evidenziato dal nuovo studio di Public Health England, i bambini sotto i 10 anni avevano circa la metà delle probabilità degli adulti di diffondere la B.1.1.7, mentre bimbi e adolescenti tra 10 e 19 anni avevano una maggiore probabilità di trasmissione dei più piccoli, ma non paragonabile a quella degli adulti. “La variante non riguarda necessariamente i bambini in particolare, ma sappiamo che sta aggiungendo una maggiore trasmissibilità a tutte le fasce d'età. Dobbiamo trovare il modo per riportare questi ragazzi a scuola il prima possibile; dobbiamo utilizzare questo periodo di tempo per prepararci”, ha dichiarato il professor Cevik, riferendosi al caso del Regno Unito, in cui le scuole sono ancora chiuse. Trovare un equilibrio tra tutela dei diritti degli studenti e porre un argine alla diffusione dei contagi non è semplice, e le polemiche politiche che vanno avanti da mesi sulla questione stanno lì a dimostrarlo. La speranza è che la campagna vaccinale globale dia i suoi frutti al più presto e che si possa tornare finalmente alla normalità pre-pandemica, benché diverse cose, per allora, saranno inevitabilmente cambiate per sempre.

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