Pregliasco: “Se non vacciniamo i giovani, la variante Delta metterà a rischio il ritorno a scuola”
Con la crescita della variante Delta, l’imperativo è correre con le vaccinazioni e, soprattutto, con i richiami. L’Italia punta a immunizzare l’80% della popolazione entro fine settembre, considerando anche 2,2 milioni di ragazzi nella fascia di età 12-16 anni. C’è però il nodo del calo delle forniture e, soprattutto, secondo i dati della Fondazione Gimbe, ci sono circa 7 milioni di over 60 parzialmente o totalmente esposti perché non ancora coperti dalla vaccinazione. Di questi, oltre 2,5 milioni non hanno ricevuto neppure la prima dose.
“Ora arriva il lavoro più difficile, direi una campagna vaccinale 2.0, con il coinvolgimento della medicina del territorio e dei medici di famiglia, dopo che con gli hub siamo riusciti a raggiungere le persone che avevano voglia di vaccinarsi – evidenzia a Fanpage.it il professor Fabrizio Pregliasco, virologo dell’Università degli Studi di Milano e membro del Comitato tecnico scientifico della Regione Lombardia – . Credo però che rimarrà una quota di persone che non vorrà ricevere il vaccino”.
Una situazione che deve farci temere una nuova ondata dovuta alla variante Delta?
Dipenderà da più elementi, intanto dalla capacità di tenere un tracciamento e spegnere i focolai. E poi dalla copertura vaccinale.
Vediamo già adesso delle differenze tra quanto sta accadendo in Russia e in Gran Bretagna, dove si stanno registrando due crescite esponenziali di infezioni da variante Delta. In Russia, però, si continua a morire di Covid-19 mentre nel Regno Unito, dove si è raggiunto un alto tasso di vaccinazione, l’aumento dei casi legati alla variante non sta portando a un sostanziale incremento delle ospedalizzazioni. Questo perché i vaccini, pur non impedendo di infettarsi, stanno dimostrando di avere una buona efficacia nel ridurre la malattia grave.
La stessa cosa accadrà anche in Italia, è solo una questione di tempo. Credo però che non ci sarà un’altra ondata, ma avremo un colpo di coda, dunque un rialzo delle infezioni con una quota di casi gravi che dipenderà dalle vaccinazioni.
Ma cos’è esattamente la variante Delta?
È quella che chiamavamo “variante indiana”, una mutazione del coronavirus del 60% più contagiosa della variante inglese che, a sua volta, lo era del 50% più del virus originario.
È più pericolosa?
Non è chiarissimo se sia più aggressiva: le prime informazioni parlavano di una malattia con effetti più pesanti ma, dal momento che buona parte dei dati arriva soprattutto dal Regno Unito, dove c’è un’alta percentuale di vaccinati, non è chiaro se questa variante sia più cattiva o meno. Le manifestazioni cliniche sono un po’ diverse, con meno febbre e, in genere, senza perdita del gusto e dell’olfatto. Ma sono dati che, come le dicevo, potrebbero essere falsati perché buona parte della popolazione è vaccinata.
Tornando all’Italia, quando dobbiamo aspettarci il “colpo di coda” della variante Delta?
Se consideriamo che il Regno Unito ha allentato le restrizioni un po’ prima di noi, è verosimile che nel giro di un paio di mesi anche in Italia dovremo fare i conti con un incremento delle infezioni, ma non credo in termini di appesantimento del Servizio sanitario nazionale.
Rischiamo di avere problemi alla riapertura delle scuole e con la didattica in presenza?
Potrebbe essere, se non vaccineremo i giovani. È chiaro che, ora che è possibile immunizzare i ragazzi dai 12 anni, la vaccinazione servirà non solo ad evitare loro la malattia e garantire che non ci sia assenteismo scolastico, ma anche a scongiurare che siano diffusori dell’infezione.
Il ritorno in classe a settembre può quindi incidere sulla circolazione virale?
Di sicuro. L’anno scorso abbiamo visto che è stato l’elemento scatenante. L’estate è andata avanti, certamente le discoteche hanno fatto il loro, poi però la ripresa dell’attività scolastica in presenza è stata l’innesco. Questo perché dietro al rientro in classe c’è il movimento di 8 milioni di studenti più 2 milioni di professori e personale scolastico, senza considerare tutti quei genitori, zii o nonni che vanno avanti e indietro.
C’è però una certa esitazione a vaccinare i giovani perché si ammalano meno.
È però anche vero che una parte dei ragazzi sta comunque male, e che l’1% finisce in ospedale per complicanze. E poi, non sappiamo bene quali siano gli effetti del Long Covid: nel 20% dei casi, i sintomi si protraggono nel tempo, per cui non è nemmeno così conveniente subire la malattia. Ci sono insomma più motivi per proteggere i ragazzi, oltre chiaramente alle minori problematiche di diffusione virale, con un beneficio sul ritorno a scuola in sicurezza.