Pregliasco: “Il green pass con il solo tampone è un rischio, ma necessario”
“È sicuramente una cosa utile e necessaria, proprio per far spostare le persone per turismo, per lavoro. Per vivere. Perché c’è questa assoluta esigenza”. Lo evidenzia a Fanpage.it il professore Fabrizio Pregliasco, virologo del Dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute dell’Università degli Studi di Milano, sottolineando l’importanza del “green pass” nazionale che da metà maggio consentirà ai turisti stranieri di entrare in Italia senza obbligo di quarantena di 5 giorni. Chi arriverà da un Paese Ue dovrà dunque dimostrare di aver completato la vaccinazione anti-Covid, di essere negativo al tampone (eseguito nelle ultime 48 ore) oppure di aver superato qualsiasi forma della malattia. Requisiti che non hanno mancato di sollevare perplessità sui social, etichettati come un “pericolosissimo controsenso” dal virologo Roberto Burioni che su Twitter sostiene come “gli unici che potrebbero muoversi con maggiore libertà sono i vaccinati e i guariti. Tutto il resto è una sciocchezza”.
Una presa di posizione forte contro gli spostamenti con tampone negativo. È una preoccupazione eccessiva?
È chiaro che in questa fase bisogna accettare anche un semplice tampone, pur ritenendo anch’io che un test, soprattutto quello rapido, abbia una minore validità rispetto agli altri requisiti. Ma è un problema di equità, questo perché al momento in Europa non riusciamo a garantire a tutti la vaccinazione. Quando i vaccini saranno disponibili, allora sarà diverso.
Bisognerebbe quindi mantenere la quarantena per i soli “tamponati”?
Concordo con lo spirito dell’amico e collega Burioni, perché mentre la vaccinazione e la guarigione ci danno certezza e delle evidenze scientifiche di efficacia e protezione, un tampone ha un valore limitato nel tempo con il rischio di non trovare soggetti positivi o che lo diventino successivamente. Diciamo che è una mediazione politica che però temo sia necessaria in termini pratici. Quello che si cerca di fare con questi provvedimenti è di adottare delle misure realistiche, che hanno comunque dei margini di errore.
Quali potrebbero essere le conseguenze?
È chiaro che questo comporterà un certo rischio di disseminazione di casi e comparsa di focolai. Se però tutto ciò avviene in un contesto in cui la diffusione del virus è bassa, queste situazioni possono essere tenute sotto controllo da un tracciamento efficiente ed efficace. È anche vero che lo si potrà fare nel momento in cui avremo meno di 50 nuovi casi ogni 100mila persone, ora siamo intorno ai 140.
Può esserci una soluzione alternativa per aprire le frontiere al turismo?
No, non c’è altro. È l’unica opzione che abbiamo, c’è poco da “scialare”.