Pregliasco a Fanpage.it: “Andava fatto un lockdown totale, smart working va implementato”
I provvedimenti dell’ultimo DPCM per contenere la diffusione del coronavirus continuano a provocare proteste e contestazioni. La rabbia cresce tra le categorie che, in vista della ripartenza dopo il lockdown di primavera, avevano firmato con il Governo linee guida e protocolli con la garanzia che le attività sarebbero state salvaguardate. E invece, come nel caso di bar e ristoranti, si è scelto di non tenere conto di quanto fatto, intervenendo in luoghi dove finora ci si era impegnati a rispettate le misure imposte e validate da Inail e Cts. La sensazione diffusa è che, alla luce della seconda ondata, questi protocolli siano stati tutt’altro che sufficienti. “No, le linee guida sono efficaci e dovranno essere riutilizzate nel prossimo futuro” dice a Fanpage.it il virologo Fabrizio Pregliasco al quale abbiamo chiesto cosa abbia portato il Governo a considerare alcune attività più sicure di altre, a partire dalla differenza fatta tra parrucchieri e centri estetici, con i primi che resteranno aperti anche nelle Regioni finite in zona rossa e i secondi costretti invece ad annullare gli appuntamenti e a fermarsi.
Perché queste differenze?
L’incremento della diffusione epidemica ha portato a una considerazione più generale, cioè quella di ridurre tutti i contatti ai quali possiamo rinunciare, partendo dal presupposto che la grande presenza di positivi nella comunità, soprattutto di asintomatici, rappresenta un rischio. È quindi chiaro che, in questo momento, la scelta politica è stata quella di togliere tutto quello che si può evitare perché, se è vero che solo lo 0,7% dei positivi richiede il ricovero in terapia intensiva, se i casi sono tantissimi, anche lo 0,7% diventa un numero assoluto rilevante. Ed è quello che si sta vedendo nei Pronto soccorso degli ospedali. Dunque il problema è la concentrazione di casi gravi in uno stesso momento che mandano in tilt la possibilità di assistenza.
C’è poi la disquisizione perché i parrucchieri possano restare aperti e le estetiste no, ma è chiaro che, in questo momento, la scelta politica è stata quella di adottare misure che possano essere sostenute rispetto al consenso e alla tenuta economica del sistema. In assenza, evidentemente, di prove pratiche, perché non c’è manuale che ci dica quanto si riducano i contagi se si chiude alle 17 piuttosto che alle 19. Sono tutte valutazioni che si stanno facendo “dal vivo”, per cui le indicazioni possono avere un’opinabilità ma hanno una filosofia di massima, cioè quella di togliere tutto quello che si può evitare.
C’è però anche chi continua ad andare in ufficio…
Purtroppo, dal punto di vista scientifico, andava fatto un lockdown totale, magari ancora più rigoroso di quello che è stato fatto bene, sofferto, e soprattutto attuato con grande intensità e lunghezza in primavera. Si è però optato per un’applicazione sartoriale delle misure tenendo conto della sostenibilità e del livello di malumore delle persone.
Considerando che ormai è assodato che le mascherine sono una protezione efficace e indispensabile, non sarebbe il caso di raccomandare l’uso delle cosiddette FFP2, cioè mascherine che proteggono anche in entrata rispetto alle chirurgiche che sono efficaci solo in uscita?
Potrebbe certamente aiutarci ma è chiaro che comporterebbe un aumento dei costi oltre che di disponibilità. Quanto siamo riusciti a fare, cioè un’ampissima diffusione delle mascherine, mi pare già una buona cosa. Il concetto di indossarle tutti sta proprio dietro al fatto che le mascherine chirurgiche proteggono soprattutto gli altri da noi che, generalizzando, vuol dire che ciascuno di noi protegge tutti gli altri.
Quali sono i rischi di non indossare la mascherina in quei luoghi dove non è possibile farlo, come ad esempio nelle mense aziendali o quando consumiamo cibi e bevande al lavoro?
Quello delle mense è certamente un problema importante ed è necessaria una particolare attenzione e riduzione del numero di persone che si trovano insieme. Sicuramente i momenti di pranzo e cena sono un grande rischio, perché ci si abbassa la mascherina e magari nel frattempo si parla con gli altri, cosa che aumenta la possibilità di contagio. Di sicuro è un aspetto da mettere in conto, magari ampliando le tempistiche e differenziando gli orari.
Non sarebbe forse il caso di incrementare lo smart working?
Sicuramente, questa è una raccomandazione che è stata comunque fatta. Non è un obbligo, ma un’indicazione che senza dubbio va implementata.