Pesci in tavola vicino all’estinzione, i nostri mari saranno vuoti entro 2048
Ci sembrano infiniti e la loro cattura non indigna come la caccia dei grossi felini, pensiamo che vivano in libertà per molto tempo prima di essere catturati, a differenza dei mammiferi costretti negli allevamenti intensivi, e questo ci fa sentire giustificati, eppure anche i pesci stanno per scomparire dal nostro pianeta. Ecco quali sono le specie più a rischio presenti sulle nostre tavole:
– anguille europee
– tonno australe
– salmoni dell’Atlantico
– squali
– razze
– cicerelli
– pesce spada
– merluzzi
– sardine
– acciughe
– datteri di mare
– gamberi tropicali
– bianchetti
Countdown… – 34 anni
Secondo quanto riferito dal biologo Boris Worm, nel 2048, se il livello attuale di pesca dovesse proseguire senza l'imposizione di nuovi limiti, potremmo non avere più i pesci dei quali ci nutriamo. L'essere umano sarebbe quindi costretto a fare affidamento solo sui pesci nati e cresciuti negli allevamenti. All'intensità della pesca è legata la biodiversità dei nostri mari e si conta che già il 29% degli animali marini che mangiamo sia in enormi difficoltà.
Regole infrante di continuo
Eppure non possiamo certo dire che i nostri mari non siano regolamentati. Anche se la pesca di frodo potrebbe sembrare quella più redditizia, visto il guadagno ottenuto dalle materie prime. Parlando invece di pesca commerciale e consentita, il Regolamento (CE) n. 1967/2006 del Consiglio specifica che per pescare sia vietato fare uso di sostanze tossiche, narcotiche o corrosive, apparecchiature che generano scariche elettriche, esplosivi, sostanze che, se mescolate, possono dar luogo ad esplosioni, dispositivi trainati per la raccolta del corallo rosso o altri tipi di corallo o organismi simili al corallo, martelli pneumatici o altri attrezzi a percussione per la raccolta, in particolare, di molluschi bivalvi infissi nelle rocce, croci di Sant'Andrea e altri attrezzi simili per la raccolta, in particolare, del corallo rosso o di altri tipi di corallo o organismi simili al corallo, pezze di rete con maglie di dimensione inferiore a 40 mm per reti a strascico. Inoltre chiarisce che per tonno rosso, bianco, pesce spada, pesce castagna e squali, non sia possibile fare uso di reti da fondo.
Tempistiche di pesca
Per ogni specie di pesce sono previste stagioni che ne regolamentano la pesca, questo per permettere agli animali di riprodursi e mantenere in equilibrio il numero di esemplari presenti nei nostri mari e possono variare di anno in anno nel caso in cui dovessero presentarsi alcune necessità: ad esempio quest'anno a ciascun paese dell'Unione Europea è stato assegnato un numero massimo di esemplari catturabili, visto il rischio estinzione che correva proprio questo pesce. Così come per il pesce spada il divieto di pesca per il 2014 è stato imposto tra l'1 e il 31 marzo, inclusi, e l'1 ottobre e il 30 novembre, inclusi.
L'illegalità la fa da padrona
Visto l'impoverimento dei nostri mari, è chiaro che le buone intenzioni delle regolamentazioni mondiali non trovino sempre il consenso dei pescatori. Il concetto di “overfishing” nasce proprio dal non rispetto di quelle che sono le quantità e le tempistiche previste per ogni specie. Come spiega Greenpeace, il 63% dei pesci mondiali dei quali ci nutriamo viene pescato in quantità decisamente oltre quelle sostenibili dalla natura, sia in termini di possibilità riproduttive (gli animali sono troppo pochi e non fanno in tempo ad accoppiarsi) che in termini di biodiversità (l'assenza di anche solo una specie, provoca conseguenti mutazioni alla catena alimentare e modifica l'ambiente circostante). Non parliamo poi della pesca illegale che sappiamo comportare grossi danni al nostro ecosistema per scopi alimentari minimi come, ad esempio, quello delle pinne di squalo: 100 milioni di squali ogni anno sono vittime di queste mutilazioni.
Bycatch, pesca fantasma e molto altro ancora
Ma non finisce qui. Per aver chiaro cosa stia accadendo nei nostri mari, dobbiamo citare anche l'utilizzo di veleni ed esplosivi come scorciatoie redditizie che, però, si portano dietro un vero e proprio inferno ambientale. Nelle Filippine ad esempio ogni anno vengono versate 65 tonnellate di cianuro che servono a stordire i pesci, anche se molti sono quelli che muoiono immediatamente. Un tipo di pesca subdola e molto dannosa è quella fantasma che prevede la presenza in mare di reti abbandonate che vengono recuperato dopo quantità di tempo previste. Al loro interno rimangono impigliati anche grossi esseri viventi, come delfini, che muoiono nel tentativo di liberarsi. Per concludere questo triste elenco, parliamo di bycatch, conosciuto in italiano con il termine rigetto: esemplari che non sono di interesse del pescatore (perché specie protetta, perché non si mangia, perché l'imbarcazione è già oltre le quantità consentite) che vengono scartati e rigettati in mare con conseguenti danni fisici e psicologici che possono portare a incapacità di riprodursi. Un rapporto del WWF stima che del totale del pescato ben il 40% venga rigettato, si tratta di uno spreco enorme che non trova giustificazione.
Vegetariani per forza
L'inquinamento ambientale provocato dall'uomo comporta l'estinzione di molte specie animali, marine e non, e, se in certi casi ormai sembrerebbe non esserci più nulla da fare, in altri le speranze di risoluzione sono molte. Ce ne dà dimostrazione il grande risultato reso pubblico in questi giorni dalla International Commission for the Conservation of Atlantic Tunas (ICCAT) che ha comunicato a Genova, in occasione del 19th Special Meeting of the Commission ICCAT, la ripopolazione del tonno rosso portandolo così ad essere fuori pericolo. Purtroppo a questa buona notizia è seguita quella riguardante la scelta di aumentarne del 20% le quote pescabili per il 2015, scelta azzardata secondo il WWF che ritiene sia ancora troppo presto.
Pesci in quantità critiche, se non in estinzione
Parlando di pesci che troviamo dai nostri pescivendoli, di cui quindi siamo responsabili, Greenpeace fa sapere che abbiamo perso il 99% delle anguille europee e il 95% del tonno australe, che i salmoni sono quasi del tutto scomparsi dall'Atlantico, sempre più squali e razze entrano nelle liste di animali a rischio estinzione, così come l'80 dei maggior predatori dei mari sono scomparsi dalle coste nord del Pacifico e dell'Atlantico. A casa nostra i cicerelli sono a rischio estinzione a causa delle tecniche utilizzate per pescarli (con la rete sciabica che li trascina in abbondanza fino a riva). Anche la pesca del pesce spada provoca gravi danni all'ecosistema a causa dell'impiego delle spadare, vietate dall'ONU e dall'Unione Europea: questi esemplari rappresentano "solo il 20% di quello che le spadare raccolgono. Si tratta di reti poco selettive che accidentalmente catturano anche specie protette come capodogli e delfini". Così ancora merluzzi (che si riproducono solo dopo molti anni di vita), sardine e acciughe che, spiega il WWF, se dovessero scomparire dai nostri mari provocherebbero la perdita di migliaia di posti di lavoro. Insomma, l'assenza dei pesci nei mari non è ‘solo' un problema ambientale, ma anche sociale. La diminuzione delle quantità di questi pesci disponibili provoca anche l'aumento del loro prezzo, solo il consumo consapevole e un minor spreco possono essere essere d'aiuto a questa emergenza.
Ma non finisce qui…
A rischio estinzione sono anche i datteri di mare, cui pesca è severamente vietata dalla legge: come spiega SlowFood infatti "raggiungono l’età adulta in 10 anni. L’unico modo per prelevarli dalle rocce, stanandoli dai buchi in cui si rifugiano, è far esplodere interi tratti di scogliere sottomarine". Da non dimenticare gli allevamenti di gamberi tropicali in Asia e America Latina che hanno un impatto enorme sull'habitat costiero. Sono infatti i responsabili della distruzione delle mangrovie cui scomparsa porta alla morte di rettili, pesci, crostacei, uccelli e mammiferi che vivrebbero in queste foreste. Per concludere, i bianchetti (conosciuti come gianchietti in Liguria, cicenielli a Napoli, paranzola ad Ancona, ciacianielli a Salerno, Schuma ti mari a Brindisi e Faloppa a Taranto), per la pesca dei quali la legge prevede sanzioni severe: ci sono periodi specifici durante l'anno (dal 15 gennaio al 15 marzo) nei quali è permesso pescarli anche se, nella realtà dei fatti, si sta facendo di tutto per impedirne definitivamente la pesca. Pertanto quando andiamo dal pescivendolo, quando portiamo a tavola una di queste specie a rischio estinzione siamo anche noi responsabili dell'alterazione dell'ecosistema dei fondali marini. Il 2048 non è poi così lontano.