Perché sversare l’acqua radioattiva di Fukushima in mare non rappresenta un rischio per la salute
Anche se tutta l’acqua contaminata venisse sversata in un solo anno, le radiazioni in mare rappresenterebbero un millesimo di quelle cui sono normalmente esposti i giapponesi. Così dimostrano i numeri del Governo di Tokyo, che ha annunciato che rilascerà nell’Oceano Pacifico 1,25 milioni di tonnellate di reflui provenienti dalla centrale nucleare di Fukushima. Si tratta dei liquidi accumulati dall’incidente dell’11 marzo 2011, quando terremoto e tsunami investirono tre dei sei reattori dell’impianto situato sulla costa di Naraha. Da allora, l’acqua pompata per raffreddare i detriti ha creato un’enorme massa contaminata da smaltire, che attualmente riempie oltre mille cisterne d’acciaio stipate nel cantiere di bonifica dell’ex centrale. I giapponesi hanno calcolato che la capacità di stoccaggio dovrebbe esaurirsi già nel 2022, quando i 1.062 serbatoi speciali saranno tutti pieni e non ci sarà ulteriore spazio per costruirne di nuovi nell’area di Fukushima, dovel’elevato rischio sismico potrebbe tra l’altro vanificare gli sforzi di contenimento finora compiuti.
Tra le diverse alternative per lo smaltimento, il comitato consultivo del Governo ha concluso che “lo scarico in mare e il rilascio di vapore, entrambi preceduti da pratiche di trattamento” sono le uniche opzioni fattibili. I tecnici della Tokyo Electric Power (Tepco) responsabili della centrare di Fukushima faranno fluire le acque attraverso una complessa serie di filtri, chiamata Alps (Advanced Liquid Processing System), eliminando 62 elementi pericolosi (radionuclidi) ma non il trizio, un isotopo radioattivo dell’idrogeno con un’emivita di 12,3 anni, che in natura è presente in tracce nell’acqua di mare e nell’atmosfera. Questo isotopo è estremamente difficile da rimuovere poiché sostituisce gli atomi di idrogeno nelle molecole d’acqua, rappresentando un rischio modesto per la salute. Il piano è di diluire il refluo fino a quando la concentrazione di trizio raggiungerà un quarantesimo di quella che il Giappone consente nell’acqua potabile, quindi riversare l’acqua in mare in maniera graduale, con tempi più che decennali.
Secondo i documenti, il trizio sarà infatti diluito a 1.500 becquerel per litro, che è 1/40 la concentrazione consentita dagli standard di sicurezza nipponici e 1/7 quella indicata nelle linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per l’acqua potabile.
Lo sversamento contingentato, la cui fine è prevista nel 2051, permetterà diluire ulteriormente la massa d’acqua, rendendo i residui di trizio meno pericolosi se non innocui. In termini numerici, la concentrazione finale raggiunta nell’Oceano sarà almeno cento milioni di volte inferiore a quella dell’acqua potabile e potrà “facilmente essere incorporata nel biota marino o nei sedimenti presenti nei fondali” ha affermato in una dichiarazione rilasciata su Science Media Center Ken Buesseler, chimico marino presso la Woods Hole Oceanographic Institution, un'organizzazione di ricerca no-profit con sede nel Massachusetts. “La radioattività può essere ridotta a livelli di sicurezza”, paragonabili all’esposizione a radiografie mediche e viaggi aerei, ha affermato Nigel Marks, scienziato nucleare alla Curtin Universiy di Perth, in Australia.
L’idea di rilasciare radioattività di qualsiasi tipo fa comunque rabbrividire – la sezione giapponese di Greenpeace ha denunciato che “il Governo ignora i diritti umani alla salute e le leggi internazionali e anche la Sud Corea ha definito “inaccettabile” lo sversamento deciso da Tokyo, mentre la Cina ha detto che si tratta di una mossa “irresponsabile”. Ferma opposizione è arrivata anche da pescatori che temono ripercussioni sull’attività ittica e sui consumi, nonostante la concentrazione di trizio non rappresenti un rischio reale per la salute.
Il Governo di Tokyo ha inoltre ricordato che il trizio “viene rilasciato di routine” nell’ambiente dalle centrali nucleari di tutto il mondo e che nel ventennio richiesto per lo smaltimento delle acque di Fukushima non verrà mai raggiunto il livello che l’ex centrale riciclava normalmente ogni anno prima del disastro del 2011. L’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) ha approvato il piano del governo giapponese, osservando che il rilascio soddisfa gli standard di pratica globali. Il direttore generale dell'AIEA Rafael Grossi ha anche sottolineato che questo è un modo comune per rilasciare acqua nelle centrali nucleari, anche quando non sono in situazioni di emergenza.