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Perché nei Paesi più ricchi i casi di Covid diminuiscono più rapidamente

Una spiegazione arriva da un nuovo studio pubblicato su Frontiers in Public Health da due ricercatori dell’Anglia Ruskin University di Cambridge che hanno osservato un legame tra variazione dei nuovi casi di Covid e valori macroeconomici in 38 Paesi europei.
A cura di Valeria Aiello
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I Paesi più ricchi hanno visto diminuire più rapidamente il numero di nuovi casi di Covid durante la prima ondata della pandemia. Lo indicano i risultati di un nuovo studio pubblicato sulla rivista Frontiers in Public Health da due ricercatori dell’Anglia Ruskin University di Cambridge, nel Regno Unito, che hanno confrontato indicatori economici di 38 Paesi europei con l’andamento dei casi di coronavirus, riscontrando una relazione tra prodotto interno lordo (PIL) pro capite e variazione dei contagi nel periodo compreso tra 1° aprile e 31 maggio 2020.

C'è un nesso tra PIL pro capite e andamento della pandemia

Dallo studio è emerso che il Paese europeo con PIL pro capite più alto, ovvero il Lussemburgo, ha registrato il maggiore calo di casi (271 per milione di abitanti). Al contrario, in Paesi con un PIL pro capite inferiore, come l’Ucraina, il numero di nuovi contagi è diminuito di 1 caso per milione di abitanti nei due mesi oggetto di studio, così come in Romania, dove il numero di nuove diagnosi di Covid è scesa di 7 casi per milione di abitanti.

Variazione dei casi di Covid per milione di abitanti nel periodo compreso tra il 1° aprile e il 31 maggio 2020. I paesi indicati nella figura sono: 1: Albania; 2: Andorra; 3: Austria; 4: Belgio; 5: Bosnia ed Erzegovina; 6: Bulgaria; 7: Croazia; 8: Cipro; 9: la Repubblica Ceca; 10: Danimarca; 11: Estonia; 12: Finlandia; 13: Francia; 14: Germania; 15: Grecia; 16: Ungheria; 17: Islanda; 18: Irlanda; 19: Italia; 20: Lettonia; 21: Lituania; 22: Lussemburgo; 23: Malta; 24: Montenegro; 25: Paesi Bassi: 26: Norvegia; 27: Polonia; 28: Portogallo; 29: Romania; 30: Russia; 31: Serbia; 32: Slovacchia; 33: Slovenia; 34: Spagna; 35: Svezia; 36: Svizzera; 37: Ucraina; e 38: il Regno Unito.
Variazione dei casi di Covid per milione di abitanti nel periodo compreso tra il 1° aprile e il 31 maggio 2020. I paesi indicati nella figura sono: 1: Albania; 2: Andorra; 3: Austria; 4: Belgio; 5: Bosnia ed Erzegovina; 6: Bulgaria; 7: Croazia; 8: Cipro; 9: la Repubblica Ceca; 10: Danimarca; 11: Estonia; 12: Finlandia; 13: Francia; 14: Germania; 15: Grecia; 16: Ungheria; 17: Islanda; 18: Irlanda; 19: Italia; 20: Lettonia; 21: Lituania; 22: Lussemburgo; 23: Malta; 24: Montenegro; 25: Paesi Bassi: 26: Norvegia; 27: Polonia; 28: Portogallo; 29: Romania; 30: Russia; 31: Serbia; 32: Slovacchia; 33: Slovenia; 34: Spagna; 35: Svezia; 36: Svizzera; 37: Ucraina; e 38: il Regno Unito.

Dati che nel complesso hanno portato i ricercatori a concludere che la performance economica di un Paese è associata alla diminuzione di nuovi casi di Covid e che le differenze tra PIL pro capite tra i diversi Paesi possano riflettere fattori strutturali ed economici esistenti. “Le persone che vivono in Paesi con un PIL pro capite inferiore potrebbero avere minore accesso ai servizi sanitari e avere un reddito inferiore con conseguente peggioramento della salute – osservano gli autori dello studio – . Questi fattori potrebbero essere aggravati durante periodi di crisi sanitarie ed economiche, con ripercussioni negative nelle regioni meno sviluppate”.

D’altra parte, Paesi con PIL pro capite più elevato hanno potuto sia spendere di più in test, soluzioni di tracciamento, messaggi di salute pubblica, sia fare affidamento su economiche che hanno facilitato l’introduzione di misure di contrasto della pandemia. “La perfomance economica di un Paese determina non solo la capacità e l’efficacia dei sistemi sanitari, ma anche il suo mercato del lavoro e le relazioni professionali all’interno del Paese – notano i ricercatori – . È possibile che nei Paesi europei più avanzati, lockdown e blocco delle attività possano essere stati più facili da implementare perché un maggiore numero di persone lavora in settori in cui le infrastrutture tecnologiche consentono di lavorare da casa. Questo potrebbe essere difficile nei Paesi europei più poveri, in cui un maggior numero di persone lavora in settori in cui è necessario il lavoro manuale”.

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