Perché la terza dose con un vaccino diverso potrebbe funzionare meglio contro le varianti Covid
Mentre in Italia si discute della possibilità di rendere flessibile l’intervallo di tempo tra la prima e la seconda dose di vaccini anti-Covid per non interrompere le vacanze estive, nei Paesi dove la copertura vaccinale ha superato la massa critica della popolazione ci si prepara all’eventualità che già prima dell’inverno sia necessaria una terza somministrazione per contrastare il declino dell’immunità nel tempo. Ad oggi, si sa ancora poco sulla durata della protezione vaccinale che, al momento, è confermata per almeno sei mesi, con alcuni studi che estendono tale periodo a otto mesi. Tuttavia, per capire la reale necessità di una campagna di richiamo (che ad esempio potrebbe non coinvolgere tutte le fasce delle popolazione ma solo alcuni gruppi di età) e soprattutto quale vaccino utilizzare, nel Regno Unito, così come gli Stati Uniti sono state avviate nuove sperimentazioni cliniche per esaminare quando e che tipo di vaccino somministrare per rendere più efficace il richiamo.
Lo studio sulla terza dose negli Usa
Negli Usa, in particolare, il National Institute of Health ha annunciato di aver avviato una sperimentazione clinica in fase iniziale per esaminare cosa accade quando un adulto che ha completato il ciclo vaccinale con una delle formulazioni anti-Covid disponibili, riceve un ulteriore richiamo con vaccino anti-Covid diverso a distanza di tre e quattro mesi dopo la seconda somministrazione. Lo studio coinvolgerà circa 150 adulti che hanno ricevuto uno dei tre vaccini attualmente autorizzati per l’uso di emergenza dalla Food and Drug Administration (FDA), ovvero il monodose Jonhson&Johnson, Moderna o Pfizer.
I funzionari federali hanno inoltre indicato che anche le persone che non sono state ancora vaccinate potranno partecipare allo studi in un gruppo separato, al quale verranno somministrate due dosi di Moderna e saranno poi assegnati a ricevere una terza dose di richiamo di uno dei tre vaccini approvati, circa 12-20 settimane dopo la seconda somministrazione. “Sebbene i vaccini attualmente autorizzati dalla FDA offrano una forte protezione, dobbiamo prepararci alla possibilità di aver bisogno di dosi di richiamo per contrastare il declino dell’immunità e per tenere il passo con l’evoluzione del virus – ha spiegato Anthony Fauci, direttore dell’Istituto nazionale di allergie e malattie infettive (NIAID) che fa parte del NIH – . I risultati di questo studio hanno lo scopo di fornire informazioni per le decisioni di politica sanitaria sul potenziale utilizzo di programmi di vaccinazione misti qualora vengano indicate dosi di richiamo”.
Il programma Cov-Boost del Regno Unito
Analogamente, anche nel Regno Unito inizia a giugno la sperimentazione tra i vaccini di richiamo anti-Covid, chiamata Cov-Boost, con lo scopo di esaminare quali vaccini sono più efficaci come opzione di richiamo a seconda della formulazione che è stata inizialmente utilizzata per il primo ciclo vaccinale. “Sono emerse varianti del virus che causa la Covid-19 (Sars-Cov-2) con mutazioni che possono rendere meno efficace la risposta immunitaria alla vaccinazione – indicano i responsabili della sperimentazione – . È quindi probabile che possano essere necessarie ulteriori vaccinazioni ‘di richiamo’ per gruppi ad alto rischio dopo un periodo di tempo per fornire una protezione aggiuntiva”.
Lo studio Cov-Boost coinvolgerà circa 3mila adulti di età superiore ai 30 anni che hanno ricevuto la prima dose a dicembre 2020 o gennaio 2020 e che hanno superato gli 84 giorni dalla seconda somministrazione (in considerazione della distanza tra le due dosi che nel Regno Unito è stata inizialmente spostata a 12 settimane sia per Astrazeneca, sia per i sieri di Moderna e Pfizer). Oltre a questi tre vaccini attualmente approvati dall’Agenzia dei farmaci britannica (MHRA), verranno testate terze dosi di richiamo di Novavavax, Johnson&Jonhson, Valneva e CureVac, per un totale di sette vaccini diversi rispetto a un gruppo di controllo che come terza dose riceverà un vaccino contro il meningococco (MenACWY).
Perché potrebbe funzionare meglio
Gli studi sulla somministrazione di un vaccino diverso serviranno dunque a esaminare quale tipologia di siero si dimostrerà più efficace nel rafforzare la risposta immunitaria, quindi a valutare quale programma di combinazione può determinare un aumento degli anticorpi sufficiente a proteggere dalle varianti virali in circolazione. A sostegno di questa ipotesi, i dati preliminari di altro studio, chiamato ComCov, che sta testando l’utilizzo di diversi vaccini tra la prima e la seconda dose.
La sperimentazione sta fornendo indicazioni positive circa la sicurezza, e in alcuni casi, i risultati riportano un aumento di efficacia, in seguito alla combinazione due diverse formulazioni, sebbene sia stato segnalata una maggiore frequenza di effetti collaterali da lievi a moderati dopo la somministrazione. Potrebbe quindi essere possibile che, anche nel caso della terza dose con un vaccino diverso da quello impiegato nel primo ciclo vaccinale, si raggiungano migliori risultati di efficacia, con una risposta anticorpale più robusta e in grado di garantire una protezione a più ampio spettro contro le varianti virali che, in diversa misura, stanno già dimostrando di poter eludere la risposta immunitaria del primo ciclo vaccinale.