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Da cosa dipende una buona memoria

Un team di ricerca internazionale guidato da italiani ha dimostrato per la prima volta che la memoria di lavoro è legata alle onde theta, un tipo di onda cerebrale. Più sono lente e maggiori sono le informazioni che possiamo ‘salvare’ tempraneamente nel nostro cervello.
A cura di Andrea Centini
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Per la prima volta è stato dimostrato con un esperimento che la nostra memoria di lavoro, cioè quella a breve termine per ‘uso quotidiano', è legata alla velocità di specifiche onde cerebrali chiamate onde theta. Il merito di questo importante lavoro è di un team di ricerca internazionale, coordinato da studiosi italiani del Centro studi e Ricerche in Neuroscienze Cognitive dell’Università di Bologna, Campus di Cesena. Aver dato sostanza alla teoria, in futuro potrebbe portare a soluzioni innovative per le persone che soffrono di deficit mnemonici, come quelle colpite da patologie neurodegenerative alla stregua del morbo di Alzheimer.

Prima di soffermarci sull'esperimento è doveroso spendere qualche riga su cosa sono queste onde cerebrali. Il nostro sistema nervoso si basa su un'intensa e costante attività elettrica, i cui impulsi sincronizzati, come si legge sul comunicato rilasciato dall'ateneo di Bologna, sono generati dal lavoro dei neuroni. Poiché essi si muovono in modo oscillatorio prendono il nome onde cerebrali. Ne esistono di varie tipologie, e spaziano da quelle lente legate alle fasi del sonno (come le onde delta) a quelle veloci dello stato di veglia, come le onde beta. La memoria del lavoro, quella utile ad esempio a ricordarci un numero di telefono, una password o un indirizzo, è invece legata alle onde theta, anch'esse lente (la frequenza è compresa tra i 4 e i 7 Hertz). Secondo la teoria più sono lente le onde theta e maggiore è il numero di informazioni che possiamo ‘salvare' temporaneamente nel nostro cervello.

È proprio questo aspetto ad esser stato dimostrato dal team guidato dal professor Vincenzo Romei, recentemente rientrato in Italia dopo 15 anni di ricerca all'estero. Per l'esperimento i ricercatori si sono avvalsi di una tecnica chiamata “transcranial Alternating Current Stimulation” (tACS), e grazie ad essa hanno stimolato il cervello di 32 volontari – in particolar modo l'area parietale destra – con onde di varia tipologia; onde theta lente, onde theta veloci e onde simulate. Lo scopo era ‘imporre' all'attività cerebrale un'oscillazione controllata durante il processo di memorizzazione, così da poter verificare il ruolo delle varie onde.

Sottoponendo i 32 volontari alla visione di immagini da ricordare e confrontare (configurazioni di quadratini colorati su uno schermo), gli studiosi hanno potuto valutare l'impatto delle singole tipologie di onde, confermando il ruolo delle theta lente nella memoria di lavoro. “Comparando la capacità della memoria di lavoro durante la stimolazione simulata con quella reale – ha sottolineato il professor Romei –, la stimolazione con theta lento ha migliorato la capacità di memorizzazione, mentre la stimolazione con theta veloce l’ha peggiorata”. “È come se avessimo modificato le dimensioni del foglio su cui normalmente annotiamo la nostra lista della spesa, aumentando o riducendo il numero massimo di prodotti che possiamo elencare”, ha aggiunto il ricercatore. I risultati di questa elegante ricerca sono stati pubblicati sulla rivista scientifica PloS Biology.

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