Perché ingrassiamo di più con il passare dell’età: gli effetti degli anni sul peso
Più passano gli anni, più facciamo fatica a mantenerci in forma, ma com’è possibile? Se lo sono chiesti gli scienziati che son riusciti anche a darsi una risposta: il turnover lipidico nel tessuto adiposo diminuisce durante l'invecchiamento e facilita l'aumento di peso, anche se non mangiamo di più o se non facciamo meno attività fisica rispetto a prima. Ecco cosa c’è da sapere.
Per comprendere gli effetti degli anni che passano sui chili che si accumulano, gli scienziati hanno studiato le cellule adipose in 54 uomini e donne per un periodo medio di 13 anni. A fine studio, tutti i soggetti, indipendentemente dal fatto che fossero ingrassati o dimagriti, hanno mostrato una riduzione del turnover lipidico nel tessuto adiposo, ovvero la velocità con cui i lipidi (o grasso) nelle cellule adipose vengono rimossi e immagazzinati.
I dati raccolti dallo studio hanno dimostrato inoltre che i partecipanti che non avevano ridotto le calorie della loro dieta, per compensare il cambiamento del turnover lipidico, cioè quelli che non avevano mangiato meno, erano ingrassati in media del 20%.
E non è tutto. I ricercatori hanno anche esaminato il turnover lipidico di 41 donne sottoposte a chirurgia bariatrica per comprendere se e in che modo il tasso di turnover lipidico avesse influenzato la loro capacità di mantenere il peso a distanza di 4-7 anni dopo l'intervento chirurgico. I dati raccolti, anche in questo caso, hanno dimostrato che solo coloro che avevano un basso tasso prima dell'intervento sono riusciti ad aumentare il loro turnover lipidico e mantenere la loro perdita di peso.
Insomma, i risultati indicano per la prima volta che i processi nel nostro tessuto adiposo regolano le variazioni del peso corporeo durante l'invecchiamento in modo indipendente da altri fattori e questo, sostengono gli esperti, potrebbe aprire nuove strategie per trattare l’obesità.
Lo studio, intitolato “Adipose lipid turnover and long-term changes in body weight”, è stato pubblicato su Nature Medicine.