Perché il vaccino Covid andrà somministrato in due dosi
Nel piano vaccini contro l’infezione da coronavirus presentato oggi al Parlamento, il ministro della Salute Roberto Speranza ha sottolineato i punti chiave della pianificazione, precisando il numero di dosi su cui l’Italia potrà contare se dall’Agenzia europea EMA dovesse arrivare parere positivo a tutte le formulazioni finora opzionate al livello europeo. Si tratta del 13,6% di circa 202 milioni di dosi, con la possibilità che per la maggior parte dei vaccini sia necessario il richiamo, ovvero la somministrazione di una seconda dose a breve distanza di tempo. “Non sappiamo ancora la durata dell’immunità prodotta dal vaccino” ha sottolineato il Ministro, un aspetto per cui, come logico che sia, bisognerà seguire per diversi mesi un gruppo-campione di vaccinati.
Per ora, sappiamo per certo che la memoria immunologia dura almeno 4-5 mesi, ovvero il tempo trascorso da quando sono iniziati i primi trial clinici sull’uomo, e che per la stragrande maggioranza dei vaccini più avanti nella sperimentazione e per quelli che hanno già presentato la documentazione per l’autorizzazione all’EMA – vale a dire quello sviluppato da Pfizer/BioNTech (che, tra l’altro, ha già ricevuto il via libera dal regolatore britannico MHRA) e quello messo a punto da Moderna – saranno necessarie due dosi. In particolare, consultando il draft dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che fa il punto sulle sperimentazioni cliniche, tra quelli in dirittura d’arrivo sono almeno nove i candidati vaccini che richiederanno due dosi. Oltre ai due già citati – , per cui l’EMA ha in programma di decidere, rispettivamente, entro il 29 dicembre e il 12 gennaio – anche quello prodotto da AstraZeneca e sviluppato con l’Università di Oxford per cui è previsto che la documentazione venga probabilmente presentata all’Agenzia europea entro la prossima settimana.
Perché il vaccino Covid andrà somministrato in due dosi?
Ad ogni modo, se l’EMA darà parere positivo, il primo vaccino che verrà approvato in Europa sarà quello di Pfizer/BioNTech, con l’Italia che potrà contare su un primo lotto di circa 3,4 milioni di dosi che, dovendo ripetere due volte la vaccinazione, copriranno 1,7 milioni di italiani, a partire dalle categorie più a rischio.
La somministrazione di due dosi che, nel caso di questo vaccino andranno conferite per via intramuscolare a distanza tre settimane una dall’altra, è una procedura di routine nell’ambito delle campagne vaccinali quando si parla di soggetti mai venuti a contatto con il nuovo patogeno. Questo perché la prima dose, che in gergo scientifico si chiama priming, serve a innescare la riposta immunitaria, mentre la seconda, il boost, è necessaria al potenziamento di tale risposta.
L’obiettivo, come avviene nella maggior parte dei vaccini contro le infezioni virali acute, è quello di stimolare i linfociti B a produrre anticorpi specifici contro un determinato antigene, che nel caso del coronavirus Sars-Cov-2 è la proteina virale Spike, ovvero la proteina che lega il recettore ACE2 sulle cellule umane per penetrare al loro interno.
Questo implica che, affinché la vaccinazione risulti efficace, gli anticorpi siano in grado non solo di riconoscere la proteina Spike ma che vengano prodotti in quantità sufficiente da riuscire a neutralizzare l’antigene, bloccando così l’infezione o almeno riducendo la gravità della malattia. È quindi chiaro che la somministrazione della seconda dose, con lo scopo di potenziare la produzione di anticorpi, risulti essenziale per lo sviluppo di una risposta immunitaria sufficiente alla protezione. In altre parole, la seconda dose assicura un maggior numero di anticorpi anche nelle persone in cui, ad esempio, dopo la prima dose, la risposta immunitaria risulta non sufficiente a garantire la protezione.