Perché contro le varianti Covid potrebbe servire una terza dose di vaccino
L’attenzione della comunità scientifica nei confronti delle varianti del coronavirus Sars-Cov-2 è altissima. Indicazioni preliminari che arrivano dai Paesi dove, da minoritarie, sono diventate le dominanti, riportano che il livello di protezione conferito dai vaccini anti-Covid è inferiore a quello osservato contro le precedenti versioni del virus: a destare più preoccupazione è la variante sudafricana (501Y.V2) per la quale una nuova analisi non è stata ancora sottoposta a peer review, ha mostrato che il vaccino di Oxford-Astrazeneca ha un’efficacia di appena il 22%. Anche dal Brasile, dove si è diffusa un’altra variante (P.1), arrivano indicazioni preliminari nello stesso senso. Diverso è il caso della variante inglese (B.1.1.7), per la quale non è stata invece osservata una riduzione di efficacia.
Potrebbe servire una terza dose
Dati che, al momento, sembrano suggerire che alcune alterazioni genetiche presenti nella proteina Spike sia della variante sudafricana sia di quella brasiliana possano conferire al virus la capacità di sfuggire alla risposta anticorpale indotta dai vaccini, sollevando non pochi timori sulla minaccia rappresentata da questi ceppi mutanti. Gli scienziati stanno già lavorando per aggiustare la composizione dei propri vaccini, ha spiegato Andrew Pollard, direttore dell’Oxford Vaccine Group. “Se ne avremo bisogno, li avremo a disposizione per proteggere le persone”.
Potrebbe quindi servire una terza dose o comunque un’iniezione extra di una formulazione “aggiornata”, un’eventualità che le autorità sanitarie del Regno Unito non escludono, indicando che potrebbe essere disponibile già in autunno. La nuova dose, riporta il Mirror, potrebbe essere somministrata contemporaneamente al vaccino contro l’influenza stagionale. Secondo il ministro della Salute britannico Edward Argar “non sarebbe irragionevole” ricevere richiami annuali del vaccino anti-Covid per proteggersi da nuovi ceppi. “Quello che ci aspettiamo tutti ogni anno è di avere il nostro vaccino antinfluenzale, o i nostri vaccini antinfluenzali. Non sarebbe irragionevole suggerire qualcosa di simile in questo caso” ha detto Argar a Sky News.
Sebbene Sars-Cov-2, come gli altri coronavirus, non abbia una spiccata variabilità pur essendo un virus a Rna, i dati indicano che “dobbiamo fare tutto il possibile per ridurre la circolazione del virus e rallentare lo sviluppo di mutazioni che possano ridurre l’efficacia dei vaccini esistenti – ha affermato l’Organizzazione Mondiale di Sanità – Inoltre, sembra sempre più chiaro che i produttori di vaccini dovranno adattarsi all’evoluzione del coronavirus, tenendo conto delle ultime varianti per le future dosi di richiamo”.
Il rischio in Italia
“Bisognerà a questo punto immaginare nel prossimo futuro una dose di richiamo” dice Fabrizio Pregliasco, virologo dell’Università Statale di Milano, parlando all’Adnkronos Salute. “La possibilità di una terza dose di richiamo andrà valutata di sicuro per Astrazeneca – ritiene il direttore sanitario dell'Irccs Galeazzi di Milano – ma penso andrà pensata eventualmente anche per gli altri vaccini”.
Anche se le dosi ad oggi disponibili avessero un’efficacia più bassa contro le varianti “ci darebbero comunque una protezione” ritiene Maria Capobianchi, direttrice del laboratorio di virologia dello Spallanzani di Roma, sottolineando in un’intervista al Corriere che “servono solide evidenze scientifiche, non semplici impressioni” prima di ipotizzare correttivi. Indispensabile, inoltre, è comprendere qual è la reale diffusione delle varianti in Italia e dunque il rischio che la campagna vaccinale non sia sufficiente ad assicurare un’adeguata protezione. Pertanto “è fondamentale il monitoraggio delle varianti e il sequenziamento genetico – continua Pregliasco – Un punto su cui assolutamente in Italia dovremmo lavorare di più”.
Una risposta sulla diffusione delle varianti potrebbe presto arrivare dall’indagine coordinata dall’Istituto Superiore di Sanità sui campioni positivi al tampone molecolare del 4-5 febbraio, scelti in modo tale da garantire la rappresentatività geografica delle Regioni. I risultati del sequenziamento saranno disponibili giovedì e permetteranno di avere un quadro della circolazione delle varianti sul territorio nazionale.